Il 30 gennaio 2018 arriva la decisione finale: niente corsi unicamente in lingua inglese per il Politecnico di Milano e per tutte le altre Università italiane. Il Consiglio di Stato prende definitivamente posizione sull’argomento, nato nel 2012, quando il Politecnico di Milano decise di attivare corsi di laurea magistrale e di dottorato di ricerca completamente erogati in lingua inglese. Una decisione, quella del Politecnico, dichiaratamente volta al “rafforzamento dell’internazionalizzazione” (sentenza n.42 del 2017 della Corte Costituzionale), un servizio in più per studenti che si affacciano ogni anno a un mondo del lavoro che non parla più soltanto in italiano. Una opportunità bloccata nel 2018, perché in Italia alla parola “internazionalizzazione” si affianca la temuta “emarginazione”.
Proporre corsi di studio in lingua inglese significa voltare le spalle alla lingua italiana e smentirne il primato?
Da qui è nato il dibattito, che è arrivato a coinvolgere anche l’Accademia della Crusca, divisa essa stessa in una discussione interna a riguardo. La decisione finale, pervenuta in settimana, ha visto l’esultanza del Presidente dell’Accademia della Crusca, Claudio Marazzini, che ha letto nella voglia (e necessità!) di creare corsi interamente in lingua inglese una “pseudo internazionalizzazione che è in sostanza semplicemente una emarginazione dell’italiano” e ha deciso di festeggiare la decisione di bloccare completamente la possibilità di tali corsi. Dal punto di vista strettamente linguistico, sicuramente la sentenza del Consiglio di Stato appare come “bellissima per la nostra lingua”, volendo citare ancora una volta il Presidente Marazzini.
Eppure, chi lavora in ambito internazionale e spinge la propria visione a livello mondiale, non può che essere preoccupato dell’evidente provincialismo dell’università italiana. Di fatto, la sentenza permetterà anche ad un solo professore universitario di poter bloccare la creazione di un corso di laurea in inglese – una modalità che qualcuno potrebbe addirittura definire antidemocratica. Ma a noi, in fondo, quello che interessa è il bene per i laureandi e dottorandi, per quelli che sono il presente del mondo, senza il bisogno di avventurarci nel futuro o rinchiuderci nel passato. Questa fresca decisione del Consiglio di Stato chiude le porte a molte delle possibilità che si sarebbero potute creare, allontana gli studenti internazionali e spinge ancora più lontano i nostri stessi giovani italiani che dovranno cercare queste opportunità da qualche altra parte, lasciando una penisola italiana che sembra voler tagliare i ponti con il resto del mondo.