Ciao, Federica!
Il tuo background e la tua esperienza con le ONG sono davvero importanti. Hai lavorato per diverse organizzazioni molto conosciute, come Federazione Internazionale di Croce Rossa e Mezza Luna Rossa, Medici Senza Frontiere, Amref Health Africa, ricoprendo anche ruoli manageriali e direttivi.
- Cosa porti con te della tua collaborazione con Medici Senza Frontiere, cosa hai imparato in particolare?
Con MSF è stato un po’ come il primo grande amore, una folgorazione direi. Quando seppi di essere stata scelta tra numerosissimi candidati non riuscivo a crederci… MSF incarnava tutti i miei ideali e la mia vocazione per l’umanitario, l’approccio concreto non paternalistico, impavido ma non autocelebrativo, interventista ma rispettoso delle culture locali, la forza logistica, il duro lavoro e l’impegno instancabile per salvare vite umane.
In MSF ho imparato i processi organizzativi e l’integrazione delle funzioni, a leggere i numeri e a gestire il confronto rispettoso con la diversità, la caparbietà nel raggiungere gli obiettivi e la gestione di relazioni complesse e sfaccettate e anche molti aspetti tecnici del fundraising da High Value Donors.
- E di Amref Health Africa, dove hai invece ricoperto il ruolo di Direttrice della Raccolta Fondi e Comunicazione?
Amref invece è stata per me una sfida che ho colto con grande grinta ed entusiasmo.
Sono arrivata in un momento di grandi cambiamenti sia di struttura organizzativa che di management, e sono stata chiamata a coordinate un dipartimento nuovo, frutto dell’unione di quello di fundraising e quello di comunicazione. Grazie all’esperienza in Amref ho imparato davvero molto, sia dal punto di vista tecnico professionale, ma soprattutto rispetto alle relazioni con lo staff e il management proprio perché ho avuto il privilegio di compartecipare alla costruzione di un nuovo posizionamento dell’organizzazione. Questo processo è costato molto alle persone in Amref in termini di adattamento a nuovi stili e modelli in special modo in un momento storicamente difficile per suscitare interesse sull’Africa. Ho imparato anche che la leadership si basa principalmente sull’esempio e che il più grande lavoro che un leader possa fare è quello di saper guidare verso una visione comune valorizzando e sapendo armonizzare le competenze e le differenze di tutti.
- Qual è stata la più grande sfida che hai dovuto affrontare nel tuo percorso professionale fino a questo momento?
Di certo è stato il passaggio da un’organizzazione in cui svolgevo un lavoro specialistico in cui il mio ruolo e leadership erano fortemente affermati ad un’organizzazione in cui era essenziale per prima cosa costruire fiducia e riconoscimento della mia figura. Insieme a questo l’adattamento a contesti lavorativi più piccoli in cui la dinamica relazionale era centrale rispetto a quella tecnica è stata una grande sfida.
Mi viene in mente una risposta istintiva a questa domanda, ma non è retorica.
Davvero credo che i miei maggiori successi siano stati quado sono riuscita a trasformare le difficoltà in opportunità. Se all’inizio questo approccio richiedeva uno sforzo enorme con il tempo e l’allenamento è diventato una pratica direi quasi automatica nel mio lavoro.
- Qual è la “grande causa” che più ti sta a cuore?
Quella degli invisibili, degli esclusi a causa dell’ingiustizia sociale determinata dalla volontà umana, soprattutto quando ad essere maggiormente colpiti sono bambini e adolescenti, ovvero le persone più vulnerabili in assoluto i cui diritti di base sono radicalmente e totalmente negati.
- Hai creato un progetto speciale, “The Good Skills”: quanto sono importanti le softs skills per le ONG? Credi che ci sia molto da migliorare su questo? Quali sono le carenza maggiori?
Le differenze culturali e le profonde diversità di contesti che ho sperimentato mi hanno dato il privilegio di toccare con mano la capacità delle persone (sia beneficiari che cooperanti ed espatriati) di affrontare situazioni estremamente critiche in Paesi in cui l’emergenza è una costante. Le esperienze sul terreno mi hanno fatto comprendere che più di ogni altra soluzione, oltre alla logistica e alla preparazione tecnico professionale, contava la capacità di resistere, di adattarsi e prendere forme “assorbenti” della sofferenza. La sopportazione, la perseveranza, la capacità di andare avanti e ricostruire, l’accettazione non passiva della condizione di povertà e disagio. L’accettazione delle differenze, la comprensione e la compassione verso l’altro come essere umano riconosciuto identico nei bisogni e nei diritti. Quando ero in Croce Rossa, uno dei principi fondamentali che legava lo staff di volontari e professionisti alla missione era quello di Umanità, valore centrale ancor più laddove gli esseri umani si organizzano e convivono sia essa una società sia essa una famiglia o un’organizzazione di lavoro. Questo principio è da sempre stato la stella polare che mi ha guidato, ispirato, che mi ha permesso di sperimentare modelli di resistenza e di evoluzione. Per questo, se mi posso concedere una licenza, mi sento di poter dire che tutto quello che riguarda le competenze trasversali tratta proprio del senso profondo di umanità che lega tutti noi e che ci consegna al mondo come assolutamente interdipendenti.
Spesso proprio nelle ONP all’interno dei processi organizzativi e decisionali non si rivolge attenzione alle soft skill, che invece ricoprono un’importanza chiave proprio per l’efficacia delle attività progettuali e di sviluppo e crescita.
- Stai scrivendo un libro sulle soft skill e la leadership nel non profit, che avrà anche un piccolo contributo di Marco Crescenzi, Presidente di Social Change School. Come mai questa idea?
Impegnarsi per essere consapevoli e sviluppare o potenziare le proprie abilità relazionali è di fondamentale importanza in questo momento di cambiamenti repentini, forte incertezza e volatilità in cui vengono richieste delle capacità adattive. Negli ultimi anni il contesto socio-economico globale è notevolmente cambiato e tutti noi siamo immersi in una realtà mutevole che richiede capacità di adattamento e di innovazione. E’ sempre più necessario trovare soluzioni che si ritaglino ai propri contesti e alle proprie caratteristiche escludendo risposte standardizzate. C’è bisogno del cosiddetto “pensiero divergente”, di metodi di lavoro che generano creatività, valorizzazione del singolo e attenzione al contributo di ognuno a prescindere dal ruolo e dalla gerarchia. Abbiamo necessità di una leadership basata sulle capacità umane più che tecniche, come quella di saper ascoltare e valorizzare collaboratori credendo fortemente nelle loro abilità di generare contributi innovativi. E’ fondamentale in particolar modo costruire una leadership acuta e agile che sappia ispirare verso una visione ampia, capace di intercettare e adattarsi a nuovi fenomeni e che crei valore condiviso prima di tutto all’interno, per far sì che si generi poi impatto sociale significativo.
- Che cosa ti piace di Social Change School? Che contributi concreti puoi dare nel CDS Office?
La dedizione dello staff e la professionalità dei docenti garantiscono la qualità formativa, ma anche l’originalità dei programmi e l’attenzione allo sviluppo delle carriere attraverso un servizio accurato e ben strutturato. A tutto questo credo di poter apportare una profonda conoscenza del mercato professionale non profit, non solo italiano, ed una rete di contatti molto estesa e fiduciaria.
- Per concludere questa intervista: quale stimolo vuoi lanciare ai nostri studenti e a chi lavora nel settore del Nonprofit?
Istintivamente direi che fanno o faranno il migliore lavoro che esista, ma sono troppo di parte! Lo stimolo e suggerimento che vorrei lanciare è di essere sempre affamati di conoscenza e di desiderio di imparare cose nuove. Lavorare per il cambiamento sociale è una grande missione, ma anche una enorme responsabilità che va portata avanti con profonda professionalità.
Non posso infine evitare di ribadire l’importanza chiave delle competenze relazionali che vanno sempre tenute come guida che orienterà costantemente il nostro essere trasformato in agire per il bene autentico delle persone o dell’ambiente di cui ci vorremo prendere cura.