Abbiamo contattato la nostra alumna Antonella Iudici, corsista del Master PMC – Project Management for International Cooperation dell’edizione Giugno 2017, per chiederle come stesse procedendo la sua esperienza iniziata con Fondazione AVSI dopo il Master. Antonella ci ha parlato del suo lavoro e delle sue sensazioni in Uganda (al momento è invece in Mozambico, come Operations Manager) e siamo stati felici di notare quanto sia positivo per lei il tempo trascorso sul campo.
“Guardando indietro, posso dire che tutta la sicurezza che ho adesso la devo al mio fallimento precedente, quando ero nel privato e mi sono resa conto che non era il mondo per me. Aver lasciato un lavoro nel for profit a tempo indeterminato, per cercare qualcosa di non sicuro, sul momento mi era sembrato un fallimento, ma ora mi rendo conto che è stato il mio punto di forza più grande. Ho preso coscienza di quello che volevo.
Mi sono sempre trovata meglio in contesti in cui ho visto il mio intervento e le mie ore lavorative utili a qualcosa di diverso dal salario di fine mese. È così che la mia predisposizione come persona, come valori, mi ha portato a lavorare nel Nonprofit. Condividere una missione con le persone intorno a me e poter avere un impatto su qualcosa valorizza il mio lavoro come nient’altro e mi spinge a dare il mio meglio.
Anche l’ambiente di lavoro mi piace molto. Alla luce delle esperienze che ho avuto precedentemente, mi è stato facile capire che la condivisione di una missione mi fa sentire a mio agio anche a livello lavorativo.
Dopo un anno nel settore for profit, ho deciso di iscrivermi al Master di Social Change School. Uno degli ultimi momenti del Master è stata la Job Interview Challenge, che ho fatto con la Fondazione AVSI. Ho parlato con C.S., responsabile risorse umane. Avevo già fatto diversi colloqui, ero piuttosto scoraggiata e avevo dato poca importanza alla Job Interview Challenge.
Il Master mi è stato molto utile a comprendere le mie skill e i miei limiti. Quando ho iniziato a parlare con C.S., lei mi ha introdotto la posizione, mi ha chiesto di me e mi ha detto che secondo lei sarei potuta diventare un’ Operations Manager. Io neanche sapevo bene cosa facesse un Operations Manager. Lei mi ha condiviso una vacancy aperta in quel momento, mi ha detto di dare un’occhiata, perché secondo lei mi sarebbe piaciuta. Si chiedeva più esperienza di quella che avevo io, ma C.S. mi ha detto che, dandomi un paio di anni di tempo, ci sarei potuta arrivare. Leggendo la vacancy, effettivamente ne sono rimasta positivamente colpita, perché era una cosa quantitativa, ma allo stesso tempo prevedeva engagement con persone e risorse umane. Le ho detto che ero interessata, in fondo perché no? A quel punto mi ha detto che sarebbe stato possibile fare una prima esperienza con loro, perché avevo un profilo interessante. Feci un secondo colloquio con il responsabile delle sedi locali, F.B.. Io ci speravo veramente poco e pensavo di vedermi meglio a lavorare nel monitoring ed evaluation o amministrazione, perché pensavo fossero quelli i due ambiti in cui poter utilizzare le mie skill. Ancora non sapevamo bene dove sarei andata e quando. E poi, C.S. mi scrisse che avevano trovato il posto. Io ero già pronta con Google Maps aperto, perché mi immaginavo già un posto sconosciuto! E invece mi disse che la destinazione era Beirut. Il Libano era proprio dove era appena stata fatta la Field Experience con la Scuola! È così che sono partita per il primo periodo di affiancamento al Manager Finanziario. Beirut è una delle sedi più strutturate di AVSI e mi hanno raccomandato di imparare molto da lì. Pensavo sarei stata un periodo un po’ lungo, rimanendo nella stessa area, per poi essere spostata in un’altra sede. Invece, un mese dopo essere arrivata lì, mi arrivò una mail di C.S. con una posizione in Uganda come amministratrice di progetti AICS (Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo). Dopo nemmeno un mese di affiancamento, avevo già un lavoro a tutti gli effetti. Mi faceva molto piacere l’idea di andare in Africa, ero molto contenta e così sono partita il primo Settembre per l’Uganda. Mi sono innamorata del paese, mi sono trovata benissimo con le persone, Kampala mi è piaciuta tanto. Stavo benissimo. Lavoravo sempre in amministrazione, ma seguivo i progetti al Nord e più o meno una volta al mese andavo sul campo a vedere il progetto, a lavorare con lo staff locale, eccetera. Sono arrivata con un contratto di un anno, ma mi dissero che ci sarei stata forse due anni. Certo, è stata una sfida adattarsi al modo di pensare e lavorare in Africa. Devi cambiare mindset oppure non ce la fai. Dopo un mese ricordo un momento in cui ho pensato che forse non ce l’avrei fatta. AVSI era capofila di uno dei due progetti su cui ero allocata come amministratrice e avevo di fatto la responsabilità di tirare le redini amministrative anche delle altre due organizzazioni e mi confrontavo con persone locali. Chiedevo di vederci per un incontro, loro non si presentavano, spegnevano i cellulari… Era impossibile. Mi ricordo tra tutti una persona che all’inizio non riuscivo a gestire nella gestione della tempistica della consegna del lavoro. Alla fine siamo diventati amici e abbiamo rispettato i tempi legati al progetto. Mi sono trovata benissimo anche internamente all’ufficio, ma all’inizio tutti mi guardavano come il “classico bianco” che viene a dare ordini. La flessibilità è sempre la caratteristica vincente in queste situazioni”.
Il potere d’acquisto è molto basso in Uganda, e in molti mi avevano detto che non sarei riuscita a trovare veri amici nel paese, che tutti avrebbero provato ad approfittarsi di me. Invece, non è stato così. Ricordo con affetto una ragazza che un giorno era venuta a casa mia con una busta, dicendomi che mi aveva portato un suo vestito che non metteva più, perché aveva visto che io mi vestivo spesso con abiti lunghi. Ho avvertito molto il lato umano e non è stato l’unico momento. Ricordo anche come una mia collega, quando stavo partendo per andare via, non è riuscita a partecipare al nostro pranzo insieme e mi ha scritto un messaggio dicendo che le dispiaceva che me ne andassi (lei una persona locale, molto stabile, molto sicura del suo modo di fare). Era molto restia al mio aiuto all’inizio, all’approccio che le proponevo, ma mi ha scritto che le dispiaceva che me ne stessi andando perché stava imparando tanto da me. La cooperazione è questo. Se la vedi a sé stante, non ti rendi conto di cosa significhi, ma se la vedi come impatto, cambiamento continuo, anche nel modo di lavorare, che andrà avanti anche dopo di te, assume tutto un altro significato”.