Ecco “I Protagonisti”, un viaggio dedicato a farvi conoscere meglio alcuni tra i principali personaggi delle ONG ‘worldwide’. Professionisti che lottano per il futuro di tutti, che fanno la differenza nella vita di milioni di persone, che si mettono in gioco a volte anche a rischio della propria incolumità. Persone che hanno fatto della loro passione e impegno sul campo, un lavoro pieno di senso.
Il primo dei nostri Protagonisti (con la ‘P’ maiuscola!) è Kostas Moschochoritis, Segretario Generale di INTERSOS, una vita sul campo in ogni continente.
INTERSOS è uno dei principali partner del Master HOPE, e Kostas è tra i nostri più apprezzati docenti.
“Homo Sum. Nihil humani a me alienum puto” (Terenzio)
D.: Dottor Moschochoritis, partiamo dall’inizio. Lei nasce con una formazione tecnica: una laurea in Ingegneria Elettrica conseguita a Patrasso negli anni ’90, e un lavoro come ingegnere fino al 1995. Dopo di che, cambia letteralmente vita, e inizia a dedicarsi al supporto umanitario. Come mai ha deciso di intraprendere questa carriera, apparentemente, così diversa dalla formazione che aveva scelto?
R.: Ho deciso che era il momento di dare un significato diverso alla mia vita e alla mia carriera. Fare qualcosa che sentivo necessario: ho iniziato a collaborare con ‘Médecins Sans Frontieres’. Da responsabile di cantiere in Grecia mi sono ritrovato a iniziare la mia prima missione in Armenia. Un’esperienza molto profonda e umanamente intensa, in un paese, allora, completamente isolato, intorno al quale, tutte le frontiere erano chiuse. La cosa che mi colpì fu la grandissima umanità e dignità delle persone cui andavamo a cercare di portare aiuto.
D.: Passiamo dagli inizi della sua carriera, alla quotidianità che ci investe ogni giorno. Lei è Greco. La Grecia negli ultimi anni, è stata investita, anche più dell’Italia, dall’emergenza umanitaria costituita dall’esodo dei profughi causati dall’instabilità in Siria. Milioni di persone in fuga che hanno bisogno di tutto: forse, più di ogni altra cosa, di ritrovare la speranza di una vita normale. Cosa fare?
R.: Sono persone in fuga da situazioni impossibili, che hanno perso, parenti e amici, beni materiali, e, soprattutto la possibilità di sognare un futuro. La prima cosa da fare per loro è proprio restituirgli dignità e speranza.
D.: Dottor Moschochoritis, cosa ne pensa dei programmi adottati dall’Unione Europea e dai singoli paesi membri relativi alla gestione dei rifugiati?
R.: L’accordo con la Turchia di certo non fa onore all’Unione Europea. Alle volte sembra quasi che ci sia una volontà politica di ‘subappaltare’ il problema dei rifugiati e di creare muri, di spostare il problema invece che risolverlo. Di tenerlo lontano…
D.: In qualità di segretario Generale di INTERSOS, Organizzazione Umanitaria il cui motto, ricordiamo, è “aiuto in prima linea”, quale pensa sia il ruolo delle ONG? E quale, quello dei governi terzi?
R.: Il ruolo di un’ONG umanitaria è proprio nella sua stessa definizione, deve avere un compito ‘umanitario’: deve alleviare le sofferenze, portando sia soccorso diretto tramite alimenti e generi di prima necessità, ma deve anche restituire la dignità alle persone, insisto su questo concetto. (NdR. ricordiamo che una delle frasi simbolo di INTERSOS è: “li chiamano profughi, noi li chiamiamo per nome”). Inoltre, un’ONG, deve sempre avere la capacità di prendere decisioni autonome.
D.: “Homo Sum. Nihil humani a me alienum puto”. La ‘mission’ di INTERSOS è introdotta da questa famosa frase di Terenzio…Che cosa significa essere uomini nel XXI secolo?
R.: Significa che siamo tutti uguali, tutti vulnerabili. Che possiamo vedere, percepire, comprendere tutto ciò che accade a noi e ai nostri simili e che non possiamo chiudere gli occhi.
D.: Facciamo il punto su alcune parole chiave che definiscono i valori di INTERSOS: ‘imparziale, ‘sensibile’, ‘potenzialità locali’; ci spiega cosa simboleggiano?
R.: ‘Imparziale’ significa che ogni valutazione sui bisogni va fatta indipendentemente dalle fazioni coinvolte, dalle differenze politiche, religiose, sociali o di appartenenza, mantenendo sempre al centro l’interesse delle persone in pericolo o in stato di bisogno.
‘Sensibile’, perché bisogna sempre avere un’estrema sensibilità, e comprensione di ogni aspetto personale e culturale cui si va incontro: metodologie e comportamenti rispettosi dei contesti culturali e religiosi sono alla base di un buon intervento. Le relazioni con le popolazioni devono essere fondate sull’ascolto, il confronto e il dialogo per avere buoni risultati.
‘Potenzialità Locali’ indica che è fondamentale coinvolgere in modo attivo da subito la popolazione nelle varie attività, valorizzando le capacità dei singoli individui e delle comunità, perché la partecipazione di chi è stato colpito da una crisi nella presa di decisioni, è fondamentale, per ridare valore, dignità, e speranza.
D.: Come si imposta un intervento in un’area di emergenza? Meglio dare un pesce oggi o insegnare a pescare?
R.: Un’ONG umanitaria deve per prima cosa tenere fede al suo ruolo: quindi deve fornire un aiuto immediato, il ‘pesce oggi’. Le due cose non sono però in contrapposizione; perché aiutando nell’immediato, si possono, e si devono, anche porre le basi per risolvere i problemi a lunga scadenza…
D.: Le sorgono mai momenti di dubbio? La paura di non farcela? Di non riuscire a essere incisivi? E come si superano?
R.: Purtroppo è una paura, una sensazione che spesso può capitare. Ma è la realtà stessa che ti spinge avanti. Ricordo un campo di sfollati in Liberia nell’estate del 2003: distribuivamo cibo e aiuti, ogni martedì e, regolarmente, la sera seguente venivano guerriglieri armati a requisire tutto, minacciando e mettendo in pericolo la vita delle stesse persone che stavamo cercando di aiutare. Ci fu chiesto dalla stessa popolazione di interrompere la somministrazione degli aiuti, e dovemmo farlo… Ma, non si può piagnucolare, bisogna rialzarsi e ripartire.
D.: Come ci ha appena raccontato, INTERSOS interviene in zone spesso soggette a una grande instabilità territoriale: guerre più o meno ufficiali, ribelli e bande armate, costante incertezza. Come si organizza un intervento in queste situazioni estreme?
R.: La prima cosa che tengo a rilevare è che la nostra sicurezza non è basata sulla protezione armata. Conquistiamo la fiducia delle persone con il nostro lavoro, con il dialogo, e negoziando con tutti gli attori sul posto e la popolazione locale. Quando questo non è possibile, quando non ci è garantito l’accesso alla popolazione, dobbiamo essere pronti anche a fare rinunce dolorose, come, per esempio non intervenire o ritirarsi da una certa zona.
D.: Dottor Moschochoritis, lei ha avuto una carriera lunga e articolata, vivendo le emergenze più disparate in ogni angolo del nostro Pianeta: fra le tante Africa Equatoriale, Sud America, anche la stessa Italia. Quali sono i ricordi più intensi che le sono rimasti?
R.: Tantissimi. Ogni missione, ogni operazione mi ha lasciato qualcosa. Ricordo con grande affetto per esempio la Colombia, il calore umano e l’entusiasmo delle persone che andammo a soccorrere.
Una delle singole persone che più mi ha colpito, è stata un autista locale, in Liberia, che, in una mattina di Capodanno, nonostante le difficoltà e i pericoli, e non ci fosse stato assolutamente niente da festeggiare, era molto felice e sorridente. Quando io gli chiesi come mai, mi rispose: «Perché sono vivo, e ho un lavoro…». Quell’uomo, felice con cose che per molti sono scontate, mi ha insegnato come sia importante guardare da un punto di vista diverso la nostra vita.
D.: Qual è, invece, la situazione in cui si è trovato più in difficoltà?
R.: Direi quando nel 1999 eravamo in missione esplorativa a Timor Est. Alcuni miliziani locali consideravano ogni straniero responsabile di ingerenze negli ‘affari locali’, e avevano atteggiamenti molto ostili nei loro confronti. Ci trovavamo in un piccolo punto di ristoro quando entrarono degli uomini armati, con atteggiamenti molto violenti. Fortunatamente non accadde nulla, ma, alcuni mesi dopo, purtroppo vi furono vittime, anche fra il personale delle organizzazioni internazionali.
D.: Quali sono, secondo lei quali sono le doti, e i requisiti, per chi vuole lavorare nel mondo delle ONG? Basta una forte motivazione?
R.: Motivazioni forti, e valori umani sono sicuramente fondamentali, ma serve anche una grande professionalità, intesa sia come bagaglio di capacità professionali che diligenza operativa. Sul campo si va a lavorare, non a imparare. Inoltre è necessaria una grande flessibilità: bisogna essere pronti a operare in situazioni anche molto lontane da quelle ideali.
D.: Un’ultima domanda: che consiglio si sente di dare a chi vuole rendersi utile inseguendo il proprio sogno, impostando la propria vita nel campo dell’umanitario?
R.: Per prima cosa costruirsi un bagaglio professionale adatto, essere molto flessibili, e avere una capacità di adattamento positiva. E non aver paura di rimettersi in discussione…
La rubrica ha cadenza mensile ed è ideata e curata da Guido Pacifici, Giornalista e Autore Televisivo, con Marco Crescenzi.