Andrea Stroppiana | 26 Aprile 2016
Già alle 7 del mattino il termometro supera i 30 gradi. Si sentono gli uccelletti fare il canto del saluto al sole visto che dopo le 8 non ci sarà più molto da cantare. Alle 9 il silenzio è imbarazzante, non si sente quasi più nessuna traccia di vita, gli uccelli sono scomparsi, persino le mosche e le zanzare lasciano il campo per rifugiarsi chissà dove. Le strade piene della sabbia del deserto, diventano una unica spianata rovente interrotta qua e là dalle tracce di asfalto grigio delle arterie principali della capitale. Poche sono le strade asfaltate, poche e strette, le macchine si sfiorano percorrendole con i finestrini spalancati ed i pedoni, i poveri pedoni costretti a camminare durante le ore infuocate, affondano nella sabbia rovente avanzando a fatica tra carretti tirati da asini, cammelli e spazzatura che nessuno raccoglie. Gli odori si acuiscono, un odore d’Africa, così comune a tutti i paesi, un odore di fermentazione, acqua sporca, fogne aperte sulle strade, sudori, cibo in decomposizione che i cani annusano senza assaggiare, odore di povertà, di stracci mai lavati, di sporco sedimentato, di escrementi vecchi e nuovi. Bambini nudi in mezzo alla sabbia fermi attorno alle loro madri sedute al suolo, all’ombra di un muro di cinta, a vendere su di uno straccio
appoggiato a terra, pochi oggetti impolverati: dadi da minestra senza la loro scatola, sale, posate in alluminio, scatole di fiammiferi e qualche lattina scaduta di conserva.
Nessuno si ferma, chi è di passaggio accelera il passo per arrivare prima come quando si cammina sotto la pioggia e non si ha voglia di fermarsi.
Non piove da mesi, non si vede un solo filo d’erba, gli unici fiori di bouganville e tracce di verde spuntano appena dai giardini, cinti di alte mura, dove qualcuno può innaffiarle. Alle due il termometro sfiora i 50. Nessuno per strada, poche macchine con l’aria condizionata sfrecciano senza traffico. Devo raggiungere il mio lurido ristorantino locale per il pranzo distante 200 metri. Non sono sicuro di arrivare a destinazione, ma superata le metà della distanza non c’è più ritorno possibile, come quando si nuota in mare aperto per raggiungere l’approdo. Qui pesce secco e riso bollito. Non c’è il frigo e l’acqua non si può prendere perché ustiona la gola. I cammelli sembrano non accorgersi di nulla, belli e maestosi con il loro carico sulla gobba ed il cammelliere inturbantato che li guida arrancando nella sabbia, coperto ogni centimetro di pelle del corpo. Il primo volo di uccelli che vedo dalla finestra mi fa capire che sta arrivando la sera e che si può uscire per strada. Qui riprende la vita e ovunque ricomincia il movimento, si riaccendono i colori, e gli odori si assopiscono e si confondono al fumo delle griglie improvvisate dove si arrostisce un trancio di pecora o le frattaglie di un vecchio caprone. Aumenta il traffico, la gente riprende a parlare e qualcuno accende una radio di cui si sente il suono gracchiante lontano.
Il Niger ad Aprile.