Laura Pacelli| 21 Luglio 2015
«Oggi mi sembra che al mondo esistano soltanto storie che restano in sospeso e si perdono per la strada».
Questo scriveva Italo Calvino in “Se una note di inverno un viaggiatore”, opera del 1979 proprio dedicato alla teoria del romanzo. Oltre a consigliare vivamente la lettura di questo capolavoro a chiunque voglia cimentarsi nello storytelling con una consapevolezza estetica dello strumento che adopera, vorrei condividere con voi la sensazione di “smarrimento narrativo” che ho provato in questi giorni di fronte alla questione greca.
Perchè, parliamoci chiaro, da un punto di vista di costruzione del racconto le premesse c’erano tutte: un piccolo Paese, culla della civiltà Occidentale, osa ribellarsi con un “pronunciamento popolare” ai giganti della finanza. Ha il suo eroe buono, dalla faccia pulita, e un amico dell’eroe più guascone, bello e virile e che per di più è un vero capoccione, un economista che ha insegnato perfino Cambridge. Il web si scatena col sirtaki, col discorso di Pericle agli ateniesi, con il fotografie di Yannis Varoufakis in moto col giubbotto di pelle, e tutti ci sentiamo un po’ greci, anche se negli anni di scuola abbiamo lanciato maledizioni agli aoristi passivi (tranquilli, non è necessario sapere cosa siano per scrivere storie efficaci…). Sono passate due settimane dal giorno in cui il 61 per cento dei greci ha risposto No al quesito “Dovremmo accettare la proposta di accordo del 25 giugno 2015 presentato dalla Commissione Europea, la Banca Centrale europea e il Fondo Monetario Internazionale, composto da due documenti che formano insieme una proposta unica?”.
La notizia di ieri, Lunedi 20 luglio, è che le banche greche hanno riaperto e che è di nuovo possibile effettuare i prelievi dagli sportelli automatici. Intanto Alexis Tsipras, nuovo Ettore di omerica memoria, affronta la delusione dei suoi elettori, Varufakis è diventato una stella del web, e noi, modesti costruttori di storie ci sentiamo vedovi di una storia di eroismo possibile. Peccato.