Gisella Geraci | 07 Ottobre 2014
Tutto partì da un articolo di Michael E. Porter e Mark R. Kramer nel numero di Gennaio-Febbraio 2011 della Harvard Business Review dal titolo ‘Creare valore condiviso – Come reinventare il capitalismo e scatenare un’ondata di innovazione e di crescita’
Secondo gli autori, ‘il concetto di valore condiviso – che si focalizza sulle connessioni tra progresso sociale e progresso economico – è potenzialmente in grado di liberare la prossima ondata di crescita globale’.
‘Il valore condiviso si può definire come l’insieme delle politiche e delle pratiche operative che rafforzano la competitività di un’azienda migliorando nello stesso tempo le condizioni economiche e sociali delle comunità in cui opera.’
Un esempio per tutti citato nello studio è quello del commercio equo e solidale, che si concretizza più nella redistribuzione che nell’espansione del valore complessivo creato. La prospettiva del valore condiviso si focalizza invece sul miglioramento delle tecniche di sostegno alla crescita e sul rafforzamento del cluster locale di fornitori collaborativi e di altre istituzioni, allo scopo di accrescere l’efficienza degli agricoltori, i rendimenti, la qualità dei prodotti e la sostenibilità.
Un numero sempre maggiore di imprese note per il loro approccio pragmatico al business come Google, IBM, Intel, Johnson & Johnson, Nestlé, Unilever e Walmart hanno cominciato ad avviare iniziative basate sul valore condiviso, mentre in Italia la SNAM ha deciso di utilizzare tale approccio per impostare la propria strategia e generare valore per l’azienda e per la comunità.
Anche Jason Saul nel suo libro ‘Social Innovation Inc’ affronta il tema della creazione di valore da parte delle imprese, superando il concetto di ‘Corporate Social Responsibility’ che diventa ‘Corporate Social Innovation’, teorizzando come il meccanismo del business possa essere sfruttato per risolvere problemi sociali.
Ritroviamo il tentativo di rivoluzionare il ruolo delle aziende nella società, attraverso la tesi secondo la quale le imprese che ripensano completamente la strategia facendo leva sul loro ‘core business’ per creare nuovo valore e determinare un cambiamento sociale positivo avranno automaticamente successo sul mercato ed aumenteranno i loro profitti.
Il termine Social Innovation appare con diverse connotazioni in vari ambiti aziendali. Le imprese dell’Information Technology guardano alla Social Innovation (intesa come una nuova modalità di sviluppo urbano, dei trasporti ed industriale) come una grossa opportunità di business. Il riferimento sono le ‘smart cities’, modello che assicura elevati standard di qualità della vita per la crescita personale e sociale delle persone e delle imprese, grazie all’ottimizzazione sostenibile di risorse e spazi. In questo scenario, le tecnologie giocano un ruolo cruciale e rappresentano un elemento abilitante per questo sviluppo e varie aziende fanno proposte specifiche con le proprie soluzioni.
Guardando ad altri settori, nel Regno Unito, Marks and Spencer, uno dei maggiori retailer con ricavi annuali pari a 10 miliardi di sterline, si è dato l’obiettivo di essere il più sostenibile retailer al mondo entro il 2015. General Electric ha messo in piedi il colossale programma Ecomagination, per fornire soluzioni innovative alle odierne sfide ambientali ed al contempo guidare la crescita economica. E poi abbiamo Richard Branson, personaggio eclettico, fondatore dell’impero Virgin che nel 2004 ha creato Virgin Unite, con la ‘mission’ di aiutare a rivoluzionare il modo in cui i governi, le società private ed il terzo settore lavorano insieme, sviluppando business come una forza per il bene comune.
Per guardare al nostro paese, la Novamont, tra i più importanti produttori a livello mondiale di bioplastiche biodegradabili e compostabili, promuove il concetto di sviluppo sostenibile fin dagli esordi nel 1989, sia con i propri prodotti sia con la diffusione di buone prassi e approcci innovativi. E addirittura nel settore della finanza, dove l’accostamento con la parola etica sembra un ossimoro, troviamo la Banca Etica, l’unica banca in Italia che mostra sul proprio sito tutti i finanziamenti erogati ed ha un processo del credito innovativo che valuta anche elementi non economici, con risultati in continua crescita e sofferenze molto più basse della media.
Esistono quindi nel mondo svariati esempi di aziende che hanno rivisto la loro strategia con maggiore attenzione alla risoluzione di problemi sociali ed hanno aumentato i profitti. Ed alcuni centri studi cominciano a stilare statistiche.
Ad esempio Ethisphere ha paragonato la performance sul mercato azionario delle società considerate più etiche con la classifica S&P 500, rilevando una maggiore profittabilità delle prime. La Nielsen, invece, nel suo rapporto ‘Consumers who care’, basato su 58 paesi, afferma che il 50% degli intervistati sarebbe disposto a premiare le aziende socialmente responsabili pagando di più per i loro beni e servizi.
Nascono poi delle ‘online communities’ come Business Fights Poverty che collega più di 10,000 persone provenienti dal mondo imprenditoriale, da organizzazioni non governative e dal mondo accademico che condividono la passione per la lotta contro la povertà attraverso la creazione di business.
Forse tutti questi esempi ci dicono che c’è una fortissima necessità da un lato da parte del settore for-profit di ri-guadagnarsi il rispetto della società, e dall’altro da parte del settore sociale in genere di aumentare l’efficacia e l’efficienza delle loro azioni. Si comincia a superare il dualismo e la contrapposizione tra i due mondi, in quanto i dipendenti delle aziende ed i cittadini stessi chiedono maggior rispetto sociale ed ambientale, ma anche risultati concreti e misurabili dei miglioramenti.
I consumatori infatti hanno una sempre maggior consapevolezza del loro potere, il cosiddetto ‘voto con il portafoglio’ sintetizzato così da Leonardo Becchetti, ordinario di Economia Politica presso l’Università di Roma Tor Vergata nel suo blog La Felicità Sostenibile: ‘la sempre maggiore consapevolezza dei cittadini che le loro scelte di consumo e risparmio sono la principale urna elettorale che hanno a disposizione.’
Aumentano anche le campagne di sensibilizzazione, come l’iniziativa ‘Scopri il Marchio’ di Oxfam che vuole informare i consumatori sul modo in cui le 10 Grandi Sorelle dell’alimentare producono quello che mangiamo ogni giorno e spingere le aziende a produrre più responsabilmente. Oppure il portale Next –Nuova Economia per tutti dove i cittadini-consumatori e le imprese si incontrano sui temi della sostenibilità.
Abbiamo bisogno di una nuova forma di capitalismo, impregnata di finalità sociali, che deriva da una comprensione più profonda da parte del settore for-profit della competizione e della creazione di valore economico. Le imprese infatti cercano naturalmente nuovi mercati e maggiori efficienze produttive e, specialmente in momenti di crisi, possono trovare nella creazione di valore sociale il mezzo con cui continuare ad avere successo sul mercato in modo profittevole, non però a spese della collettività, ma anzi contribuendo al benessere sociale della stessa.