Maria Carla Cardelli | 27 agosto 2014
Ho 49 anni, ho una laurea in Statistica Economica con indirizzo aziendale, ed ho conseguito un master in comunicazione d’impresa. Ho iniziato la mia attività lavorativa nella analisi dei dati in ambito economico e nelle ricerche di mercato, lavorando sia per società di consulenza che nel settore marketing di una azienda commerciale.
Dal 1998 sono una fundraiser e ho avuto l’opportunità di vedere l’evolversi di questa attività nel corso del tempo nel nostro paese con il punto di vista della centralità dell’organizzazione e oggi con la visione anche del territorio.
Da quando ho iniziato a lavorare nel non profit ad oggi la raccolta fondi, come il contesto socio-economico in cui si è sviluppata, si è evoluta in modo discontinuo: le motivazioni alla base della donazione e i relativi strumenti di comunicazione non seguono più le logiche precedenti. Il contesto socio-economico e culturale in cui oggi il non profit si muove è molto più complesso e articolato di quando era ben distinto da coloro che erano finanziatori o beneficiari, mentre ora il legame è molto più “confuso” e stretto. Gli atteggiamenti di consumo sono cambiati e quindi anche le logiche di sostegno al non profit. Il donatore vuole essere parte della mission e delle attività.
Alla luce di questo cambiamento strutturale non possono esistere ricette predefinite e garantite, ma è necessaria una lettura flessibile del contesto in cui si opera che ci può permettere di trovare gli strumenti da sperimentare e testare bilanciando sperimentazione, potenzialmente rischiosa, ed esperienza per la pronta valutazione dei risultati. Il criterio fondamentale per guidare l’azione di fund-raising vincente è quello che garantisce la sostenibilità nel lungo periodo del flusso di risorse, che è l’unica garanzia di sopravvivenza dell’istituzione.
Questo risultato è accessibile solamente mediante un lavoro di squadra, necessario data la grande varietà di competenze richieste. Affinché i singoli siano adeguatamente motivati ad adottare l’obiettivo collettivo è necessaria la massima trasparenza dei compiti e degli obiettivi del gruppo, rispetto alla quale valutare, anche rigidamente se necessario, il contributo dei singoli.
L’insieme formato dalla produzione di servizi verso l’esterno e dei rapporti interni all’organizzazione costituiscono, nel lungo periodo, il capitale reputazionale dell’istituzione che, nel campo del non-profit, è di importanza capitale in quanto influenza la percezione dell’organizzazione da parte del pubblico rilevante ed è fondamentale per perseguire una strategia complessiva di medio o lungo periodo di continuo sviluppo competitivo in campo istituzionale e nella percezione dell’opinione pubblica.
Il puzzle delle azioni si complica, ma sicuramente è necessaria l’innovazione degli strumenti e dei messaggi. La relazione e il rapporto di fiducia sono e secondo me saranno la base del futuro della raccolta fondi. La complessità sta nella sua realizzazione, quali strumenti utilizzare per la prossimità. Ogni organizzazione deve trovare la propria modalità.