Zeno Filippi| HRM Amnesty International| 06 dicembre 2016
All’interno di un reparto psichiatrico, durante una visita guidata, un visitatore chiede al primario:
“Come fate a sapere se un paziente ha bisogno di un ricovero?”
“È molto semplice – risponde il primario – riempiamo una vasca da bagno con acqua, poi diamo al paziente un cucchiaio, una tazza ed un secchio e gli chiediamo di svuotare la vasca…”
“Aha! Ho capito – interrompe il visitatore – una persona normale ovviamente usa il secchio, perché è più grande della tazza e del cucchiaio”
“Forse… – risponde il primario – sarebbe più opportuno togliere il tappo? Che ne direbbe di un bel letto vicino alla finestra, ultimo piano, vista splendida?”
Nel precedente post “Performance Management: Lavorare e Valutare le risorse umane nelle ONG” abbiamo avuto modo di scherzare un po’ sull’importanza della relazione tra le parti nel colloquio di feedback. La domanda diventa ora: come rendere tale relazione funzionale agli obiettivi della restituzione? La cura della relazione può essere ricondotta a cinque aspetti basilari: conoscenza reciproca, legittimazione intersoggettiva, collusione e collisione, centratura sul compito, contenimento ed ascolto.
Il colloquio di restituzione consente di diminuire – secondo il classico modello della Johari Window – l’area “cieca” dell’interlocutore, cioè quell’area di aspetti che lo riguardano e che sono noti a chi conduce il colloquio, ma che nel contempo sono ancora ignoti al soggetto interessato. Forse è nell’esperienza di ognuno di noi che ricevere un feedback circa la propria area cieca da parte di uno sconosciuto – quale è una persona che non si sia in qualche modo aperta e manifestata – assume facilmente una valenza di intrusione e di minaccia che ostacola l’accoglimento dei contenuti, soprattutto se delicati e critici.
L’interazione tra i comunicanti è infatti più efficace se ciascuno di essi ha messo in comune con l’altro una serie di informazioni su di sé: sulla propria identità, sul proprio ruolo, sulle proprie intenzioni ed aspettative. La situazione interattiva è facilitata se tale “apertura” già precede il colloquio di restituzione, altrimenti conviene che la prima parte del tempo a disposizione venga dedicata ad instaurare almeno un minimo di conoscenza e disponibilità reciproca. Ciò è una condizione necessaria, anche se non sufficiente, all’instaurarsi della fiducia, cioè di una relazione che risulti rassicurante quando il soggetto riceve una conferma della propria immagine di sé e stimolante quando emergono invece elementi inattesi, sorprendenti, critici appunto.
Un aspetto non secondario della conoscenza reciproca è anche la verifica di una sufficiente motivazione “intrinseca”, in entrambi i poli del rapporto, ad affrontare il colloquio in questione. Ove infatti si rilevasse che tale motivazione è carente – ad esempio quando anche uno solo dei due interlocutori è lì “per forza” o per ottemperare ad una prescrizione ricevuta – sarebbe poco realistico effettuare un colloquio propriamente detto: potrebbe aver luogo tutt’al più un’intervista o comunque un tipo di interazione inadeguata a conseguire gli obiettivi propri di un colloquio di restituzione.
Le nostre organizzazioni non profit hanno sempre avuto, per vocazione o per necessità, una cultura organizzativa molto vicina alle persone, alle loro storie e ai loro bisogni e questo ha reso le competenze relazionali indispensabili alla sopravvivenza. Continuiamo quindi a conoscere le persone ma non dimentichiamoci di rendere queste relazioni funzionali allo scopo, così facendo potremo addirittura trovare qualcuno che ci aiuti a svuotare la vasca…