Londra 23-6-2016. Downing Street n.10. Londra è una città in preda all’euforia. Taxi, camion clacson impazziti davanti alla sede del Governo e del Parlamento.
Il ‘leave’ ha vinto, il Regno Unito ha scelto di uscire e dopo il giorno più piovoso che mi ricordi da 10 anni, oggi su Londra c’è uno splendido sole. Sono qui per vivere in diretta questo momento, che nessuno immaginava arrivare con questa forza. Ma parlando con tanta gente semplice qui il fastidio e la rabbia per l’UE era palpabile, e dentro me lo sentivo.
Anche i colleghi e le Organizzazioni sono diventate, negli anni, più chiuse e meno collaborative, direi anche più fastidiosamente presuntuose, e fare partnership a Londra è un lavoro sempre più difficile. Non è così in Scozia, in cui c’è un altro spirito e che ha infatti votato si.
Nessuno ha spiegato, agli abitanti della Cornovaglia che ora si pentono di come hanno votato, che molte iniziative sociali esemplari si basano sui fondi europei (214 milioni di sterline per il non profit inglese). Il non-profit qui ha dormito in piedi sul referendum, ed ora si rende conto di essere tagliato fuori dai fondi e dai progetti europei.
E’ per i giovani che mi dispiace di più- ad es. l’Erasmus non sarà più possibile. Ma si troveranno alternative. Il Regno ce la farà di certo- come hanno resistito ai bombardamenti nazisti e si sono ripresi con anni di anticipo dalla grande recessione del 2008- reggeranno e vinceranno anche questa sfida. Temo in ordine sparso, perché la Scozia a questo punto sta già pensando di staccarsi e aderire autonomamente alla UE. Anche Londra ora vorrebbe l’indipendenza dal Regno Unito… dal Regno Unito al Regno della farsa…?
Come in Italia dicono ‘L’euro ci ha rovinato’ e non hanno torto. C’è un mare di ragioni negli anti-europei. La cosa che mi ha stupito di più è che si è fatto un gran parlare di vacche e capitali, galline e regolamenti, ma da nessuna parte del sogno europeo e del valore della storia comune e dell’appartenenza.
Dove si dimentica il passato e non si sogna più il futuro, dove allo slancio si sostituiscono regolamenti e burocrazia, è finita. Bruxelles ed i governi nazionali pagano anche un enorme problema di comunicazione, non avere saputo trasmettere quanto di buono fatto, ed il senso di ‘essere europei’ oggi.
Cambiare la leadership europea, farla eleggere, che sia meno autoreferenziale. Riformulare la propria ‘proposta di valore’, con una comunicazione capillare cambiando narrazione e ripartendo da uno storytelling positivo sui tanti vantaggi, statali e personali, dell’essere parte dell’Unione. Ora in Europa c’è una grande parte, anche ‘left’ che spinge per limitare l’uso del referendum su materie così complesse e manipolabili. Sono d’accordo su alzare quorum e maggioranze, ma il problema del populismo montante è che se lo tieni fuori dalla finestra (referendum) alla fine ti sfonda la porta magari vincendo le elezioni (rischio Austria, Francia, Italia, USA). Alla base c’è sempre più un rigetto anti-sistema delle periferie intese in senso ampio (di uno stato come le zone interne Inglesi ed americane, di una città – vedi Roma, di cittadinanza marginale-cittadini che si sentono esclusi, di non contare nulla), che non si disattiva con limitazioni di voto, ma con il lavoro territoriale e culturale. In questo il non-profit deve giocare in pieno il suo ruolo.
Se l’Unione Europea è crollata, forse è una buona occasione per ricostruire l’Europa.
Marco Crescenzi, Londra, 23-6-2016.