Per il Coffee Break with the Nonprofit Managers tenutosi il 2 aprile 2020 Social Change School ha intervistato Gabriele Eminente, Direttore Generale Medici Senza Frontiere Italia, che ha condiviso la sua esperienza della crisi creata dal Coronavirus sia nella sfera privata sia in quella professionale. Secondo Eminente, questo sarà un game changer che cambierà a 360 gradi il modo di lavorare delle organizzazioni in Italia.
Come sta e come stiamo vivendo questa crisi?
Grazie dell’invito è un piacere rivedere alcuni di voi che conosco molto bene ed è un piacere incontrare altri di voi che non avevo incontrato prima. Dunque, partendo dal aspetto più personale questa fusione totale tra sfera privata e sfera professionale alla fine vede la seconda invadere completamente la prima, quindi non c’è soluzione di continuità, fine settimana, non c’è nulla, ci sono invece una quantità di diversi modi… In cui capita di essere su al telefono o su Skype, e nel frattempo arriva un WhatsApp o una mail. Quindi è una modalità che rende più complesso il lavoro quotidiano, un lavoro che nel nostro caso è anche aumentato più significativamente perché MSF Italia sta intervenendo nell’emergenza in Italia. Stiamo operando con un modello che è completamente diverso da quello solito, poiché è la stessa sezione italiana che sta gestendo le operazioni in Italia, e questo provoca una discontinuità molto forte rispetto al passato. Stiamo provando a reggere il più possibile come organizzazione, come ufficio e come staff rispetto a questa modalità di lavoro da remoto. Per fortuna avevamo già iniziato da tempo a promuovere lo smart working, quindi eravamo già attrezzati, sebbene non sia facilissimo, perché la situazione in cui siamo ha fatto sì che buona parte dello staff (circa i due terzi) abbia un carico di lavoro molto elevato, mentre c’è un terzo i cui programmi sono stati invece bloccati. Ci sono delle cose che in questo momento non si possono fare o si fanno al rallentatore e quindi cercare di utilizzare al meglio le risorse di quel restante terzo è uno degli sforzi che facciamo. Concludo dicendo, come commentava Daniela Fatarella, che noi abbiamo la sensazione che questo sia un game changer che cambierà a 360 gradi il modo di lavorare dell’organizzazione e delle organizzazioni in Italia, cerchiamo di non cadere nella trappola e di non fare troppi scenari ora, ci siamo dati un paio di mesi per cercare di capire dove atterreremo.
Cosa stiamo imparando, cosa ci vogliamo portare e ricette per uscirne?
Premesso che risposte non ne ho, sia per coerenza con quello che dicevo, cioè che stiamo cercando di frenarci dal fare scenari a tutti i livelli e in tutti gli ambiti, sia per rispetto a quello di cui stiamo parlando ora, perché ancora le incognite sono troppo grandi. Sicuramente guardando al micro, come diceva prima Valerio Balzini (Segretario Generale Confcooperative Liguria), usciremo da questa situazione con una consapevolezza e modalità di lavoro differenti, non necessariamente migliori. Per esempio, lo smart working era visto come una cosa attraente credo che ne usciremo veramente un po’ stufi, ma al di là di questo sicuramente avremo imparato a lavorare in modi diversi. A livello un po’ più macro, e in questo caso più che un a previsione è una auspicio, sono curioso di vedere come globalmente il nostro mondo, quello della solidarietà, uscirà da questa situazione in termini di percezione, perché veniamo da terribili anni di attacchi alle ONG da parte del sistema politico, dettati da una logica di egoismo, in cui le organizzazioni sono dipinte come vicescafiste… Credo che questa vicenda che stiamo vivendo provocherà un alterazione rispetto ai valori in termini generali, quindi può darsi che ci sarà un cambiamento a questo rispetto, magari per il meglio.