Haraka haraka haina baraka. In Swahili vuol dire che nel fare le cose di fretta non c’è benedizione, una sorta di “chi va piano va sano e va lontano” delle nostre parti. Io l’ho imparato in Africa, precisamente nel villaggio di Ikondo, a sud della Tanzania. Prima di atterrare in quell’angolo di mondo sperduto tra le colline tanzaniane, più di cinque anni fa, ero solita fare tutto con molta irrequietezza, non attendevo le risposte, volevo il risultato immediato, ero impaziente, inquieta, un po’ insofferente.
Come ci sono finita fin laggiù? Me lo sono chiesta mille volte durante le infinite notti africane di blackout o power cut, cieli stellati e lune giganti. Altre mille volte durante le passeggiate senza meta precisa sulla polvere rossa, mentre preparavo l’ugali (la polenta bianca di mais) con la mia amica Mama Meki, mentre tenevo in mano la gallina del passeggero seduto accanto a me sul dala dala (il mitico minibus tanzaniano).
La risposta ce l’ho ora che sono tornata in Italia. Sono partita per sfida, per dispetto, perché in quel momento lo volevo e ho colto un’occasione. Ho studiato Scienze Politiche, mi sono specializzata in Politiche Sociali e ho fatto un Master in Cooperazione e Sviluppo Sostenibile. Ho lavorato negli ultimi 5 anni come project assistant, project manager, project coordinator in Tanzania, Libano e Zambia. Sono una cooperante.
È un lavoro duro e meraviglioso, pieno di contraddizioni, di delusioni, di fatica ma generoso di soddisfazioni, di piena gioia, di concreta verità. È un lavoro. Ma non è un lavoro come tutti gli altri. È un lavoro perché ti richiede professionalità, competenza, multifunzionalità e versatilità, continuo aggiornamento e prontezza, sangue freddo e distacco. Non è come tutti gli altri perché ti cambia la vita, non in senso metaforico, ma nel senso che ti stravolge le abitudini, le consapevolezze alle quali ti sei sempre attaccato, i punti di vista e le posizioni che hai costantemente difeso. Ti coinvolge totalmente, ti sradica da quello che ritieni essere il centro del mondo e ti ingloba in un angolo sperduto del pianeta.
Haraka haraka haina baraka. La pazienza e lo spirito di adattamento vengono prima di tutto. Il coinvolgimento degli altri, i partner, lo staff locale e quelli che saranno i beneficiari del progetto che si gestisce è una regola fondamentale. Perché sulla carta puoi aver scritto il progetto più figo del mondo, il più innovativo, quello con l’impatto più significativo, ma se non è radicato nel territorio, se non interessa ai beneficiari, se non tiene conto di cultura, tradizioni e vincoli sociali e politici di quell’area geografica, allora è solo spreco di risorse e opportunità. Bisogna avere le idee chiare, prepararsi e non semplicemente buttarsi nella mischia, ma bisogna sempre tener conto dell’imprevisto, del risvolto che non ti aspetti.
Adesso che sono Coordinatrice del Master in Project Management per la Cooperazione Internazionale mi sento in debito doppiamente verso quello che ho lasciato alle mie spalle e verso coloro che mi trovo davanti: da un lato un’esperienza che mi ha regalato strumenti e conoscenze di una professione diversa dalle altre e dall’altro i corsisti del Master che coordino, i futuri progettisti ed agenti di sviluppo locale.
Nel mio lavoro di oggi metto lo stesso impegno, la stessa curiosità, energia e voglia di fare che mi spingevano in quello precedente, con la consapevolezza e il senso di responsabilità di poter trasmettere, anche a piccoli flash e con semplici scambi informali e paritari, quello che per me significa essere cooperanti.