È arrivato il momento di presentare un’altro componente del team Social Change School: l’Head of Career Development Service, Tirso Puig.
Tirso è una persona che trasmette una grande serenità alle persone con cui parla, sempre perspicace ed estremamente attento a chi ha di fronte.
Ciao, Tirso! Puoi presentarti ai nostri lettori?
Mi chiamo Tirso Puig, sono Spagnolo – nato a Madrid – e lavoro per la Social Change School come Head of Career Development Service.
In passato ho lavorato in Italia come Coordinatore di progetti del Terzo Settore con cooperative e servizi sociali del Comune di Bologna; poi in Bolivia come Project Manager e Coordinator, Responsabile di sistematizzazione, Career Advisor e consulente tecnico per UNICEF, Governo Boliviano, Plan International, Cesvi e altre organizzazioni; infine sono tornato a Madrid, dove ho avuto modo di lavorare come Project Manager con Plan International España.
Prima di raggiungere la Social Change School, ho gestito il Career Advice Service dello Istituto Europeo di Design Madrid, che ha numeri di corsisti nell’ordine delle migliaia, e quindi mi ha dato molto per ricoprire spero efficacemente l’attuale incarico con SCS.
Perché hai scelto lavorare nel Nonprofit?
Lavoro nel Nonprofit perché quando ero ancora studente di Legge, ho avuto modo, tramite percorsi di volontariato e di attivismo sociale e politico, di avere esperienze come educatore di giovani migranti dell’Est Europeo e del Nord Africa.
A quel punto mi sono reso conto che stavo studiando per diventare avvocato in modo da poter aiutare i più deboli, ma che quella strada non mi appagava perché non era quello il modo in cui volevo dare supporto a chi ne aveva bisogno. Questa esperienza mi ha permesso di capire che quello che stavo facendo non era la cosa giusta per me, ho trovato la mia vocazione reale in ambito educativo e da lì ho percorso 15 anni di esperienza, sempre spinto dal voler aiutare chi ne ha bisogno e dal cercare di cambiare l’ordine attuale delle cose, che trovo molto ingiusto.
La tua esperienza in Bolivia ha davvero avuto un impatto considerevole sul tuo futuro. Ci puoi raccontare qualcosa di questa esperienza?
Sono partito per la Bolivia seguendo un’idea che era tutta da costruire, era un’esperienza che immaginavo sarebbe stata breve come una Field Experience e che invece è durata 8 anni. L’esperienza boliviana ha definito la mia carriera, perché chi sono oggi lo sono diventato attraverso quello che ho vissuto lì; ho fatto la mia prima esperienza da Coordinatore tecnico in un progetto di consorzio tra 3 ONG Italiane (Ricerca e Cooperazione, Gruppo Volontariato Civile (GVC) e Progetto Mondo MLAL) finanziato dall’UNICEF. Un progetto molto grande, ed è da quel momento che ho creato le fondamenta per poi costruire il mio profilo.
La Bolivia mi ha fatto diventare quello che sono oggi, sono quella persona che si è costruita in quegli 8 anni in Bolivia.
Sulla base della tua esperienza, quanto pensi che sia importante mantenere la mentalità aperta , l’umiltà ed essere adattabile?
Essere adattabile ed umile è molto importante, soprattutto in un settore professionale che molte volte implica scelte di vita. La maggior parte dei professionisti che lavorano nelle ONG internazionali lavorano sul field o comunque devono costantemente andare sul campo. Quindi, se non sei disposto a fare cambiamenti al di fuori del tuo contesto di riferimento, diventa complicato.
Poi c’è da dire che io mi sono ritrovato dopo la prima esperienza da volontario con una proposta internazionale molto interessante, anche considerando che avevo 26 anni, quindi secondo me l’adattabilità è anche legata alle opportunità che si trovano lungo la strada.
Quale è stata l’esperienza più difficile che hai dovuto affrontare nel tuo percorso lavorativo fino ad ora?
Il momento che ricordo con particolare affetto, nonostante sia stato difficile, è il periodo in cui ho lavorato come Project Manager per Ricerca e Cooperazione. Mi sono trovato con un budget, un testo di progetto, una serie di indicazioni e sono partito il primo giorno con solo questi elementi.
Mi sono trovato a dover cercare un ufficio, fare percorso di recruiting per il personale di cui avevo bisogno, gestire due sedi e quindi fare doppio percorso. La parte più complicata è stato proprio dover costruire tutto dal nulla: ero solo io col mio computer, seduto in un caffè di El Alto de La Paz.
Sono andato avanti nonostante le difficoltà perché sentivo la fiducia che era stata riposta in me come una responsabilità, che è diventata motore significativo per andare oltre.
La tua conoscenza personale delle ONG internazionali è notevole; hai lavorato per diverse organizzazioni molto conosciute. Secondo te, come ci si può orientare e muovere tra tutte queste possibilità senza perdersi?
Credo che un elemento importante per non perdersi sia definire un proprio obiettivo professionale e in parte personale; in altre parole, capire cosa vuoi fare nella vita. Anche in un contesto complicato e complesso come quello della Cooperazione Internazionale, avere le idee chiare su dove vuoi andare ti permette di costruire con coerenza il tuo percorso, altrimenti il rischio è di rispondere agli stimoli che ti arrivano e fare un percorso che è dovuto al caso. Ovviamente poi le circostanze che uno trova per strada diventano una parte importante del percorso che man mano si definisce, però io penso sia fondamentale avere chiaro dove si vuole andare per riuscire a districarsi in quella complessità. Alle volte devi anche sapere come dire di no, altrimenti perdi la tua strada.
Quale è la cosa che ti piace di più del tuo lavoro attuale? E quale cosa ti piace di più della Social Change School?
Quello che mi piace di più del mio lavoro attuale è proprio il percorso di accompagnamento ai corsisti in un momento così significativo delle loro vite. Stanno facendo un investimento per migliorare la propria carriera professionale, e quindi poter supportarli in un momento difficile e di cambiamento è motivante per me e mi dà soddisfazioni quotidiane da un punto di vista di achievement professionali.
Della Social Change School mi piace lo spirito col quale approccia le cose in senso generale. Il fatto che non perda di vista quello che ha senso istituzionalmente, cosa che mi sembra anche abbastanza permeata nelle persone che lavorano nell’organizzazione. Mi piace l’impegno ad essere sempre coerenti, mantenendosi fedeli a sé stessi, alla mission e alla vision. Trovo che questa sia una cosa fondamentale, soprattutto se teniamo in conto che la Social Change School vuole formare professionisti del settore Nonprofit che siano effettivamente attori di un cambiamento sociale rilevante e significativo.
Se ti chiedessimo di condividere con noi un commento di uno studente che ti è rimasto particolarmente impresso, quale sarebbe?
Mi vengono in mente i ragazzi adolescenti o giovani adulti con cui ho lavorato in Bolivia. Dopo aver fatto un percorso di formazione e di avviamento e inserimento nel mondo del lavoro, loro erano convinti che quel percorso avesse cambiato la loro vita. “Quiero agradecerle porque usted me ha cambiado la vida y me ha permitido cumplir mis sueños” (La voglio ringraziare perché mi ha cambiato la vita e mi ha permesso di realizzare i miei sogni), sono le parole di uno di questi ragazzi, venuto a ringraziarmi insieme ai genitori, che erano presenti proprio perché loro stessi avevano visto il cambiamento nel proprio figlio.
Quando si parla di impatto, molte volte si dice che è difficile misurarlo, però anche in queste cose vedi l’impatto, se alle persone cambi la vita; questa ragazzo si è diplomato, ha trovato lavoro, è andato avanti.
Quale è la grande causa che ti preme e ti interessa più di tutte?
Educazione per tutti: una causa che mi porto dietro da sempre. L’educazione popolare come strumento per emanciparsi e per trasformare la realtà, la pedagogia come uno spazio rivoluzionario, perché trasforma la realtà. In questo senso, di sicuro la mia causa sarebbe l’educazione che libera.
Però oggi giorno non riesco più a tollerare il discorso rifugiati, immigrazione e l’ipocrisia infinita dei paesi occidentali nei confronti dei flussi migratori. Che siano rifugiati per le guerre o per fenomeni climatici o perché il mondo è talmente diseguale che devono provarci anche a costo della propria vita… E voglio riuscire a fare qualcosa di specifico in proposito. In un senso attuale e contemporaneo di me stesso questa è una “grande causa”.
Per concludere questa intervista, hai un piccolo spazio motivazionale: quale messaggio vuoi lasciare ai nostri studenti e a chi lavora nel settore del Nonprofit?
Anche alla luce di quello che è successo in questi ultimi giorni (leggi qui per trovare la posizione della Scuola sul caso Oxfam), alle volte la gente dubita del fatto di voler o meno far parte del Nonprofit perché non lo conosce o non sa come entrare o deve rinunciare ad avere più soldi. Il messaggio è che abbiamo bisogno di te e di gente che vuole fare cambiamenti reali. È il momento di non tirarsi indietro. È Il momento di fare cambiamenti sociali nel proprio piccolo e fino a dove uno possa raggiungere. Credo che ora più che mai c’è bisogno di farlo, di persone che abbiano la voglia, le forze e le competenze per farlo, altrimenti temo che il ritmo della storia ci stia portando verso un periodo ancora peggiore di quello che stiamo vivendo attualmente.