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Fondazioni e ONG alla ricerca di uno spazio di lavoro comune

Stefano Oltolini| 19 Aprile 2016

Nella mia carriera professionale ho avuto la fortuna di ricoprire diversi ruoli. Sono stato desk manager per ONG, grant manager per Fondazioni, e grant-seeker per ONG che cercano di aprire partenariati con Fondazioni. Conosco quindi le potenzialità e le difficoltà di collaborazione tra questi due mondi – ONG e Fondazioni – che da lontano si osservano, si misurano, talvolta collaborano pur partendo da prospettive diverse rispetto ai temi della cooperazione e dello sviluppo.

Per una Fondazione, specie se di recente creazione e con dotazione finanziaria necessariamente limitata (rispetto agli investitori istituzionali), le ONG sono a volte viste con una certa ritrosia: parlano un linguaggio troppo tecnico, gestiscono programmi molto grandi e costosi, si pongono come intermediari tra l’aspirazione a donare della Fondazione e i “beneficiari finali” a volte rappresentati da piccole organizzazioni locali o missionarie, non sanno parlare con concretezza e semplicità dei risultati che raggiungono, specie in termini di impatto. Di conseguenza le tendenze per le Fondazioni, specie in Italia, dal 2008 in poi sono state nette :  ritirarsi nel localenazionale, bypassare le organizzazioni intermediarie, trovare una nicchia in cui avere impatto.

Del resto, per le ONG più grandi e con maggiore esperienza internazionale, le Fondazioni private a volte sono viste con pregiudizi simili: erogano fondi molto limitati rispetto ai donors istituzionali ma chiedono un livello di gestione e reportistica quasi analogo; non comprendono le complessità e le tempistiche del lavoro “sul campo”; sono partners imprevedibili e poco razionali. Per queste e altre ragioni molte ONG hanno preferito negli ultimi anni concentrare maggiori energie nel potenziare la raccolta fondi istituzionale (che in termini di volumi è quella che rende maggiormente) oppure la raccolta privati da individuals (che in termini di flessibilità di utilizzo fondi è quella che permette alle organizzazioni la maggior libertà operativa), a scapito dei tentativi di costruzione di partenariati con Fondazioni private. 

In realtà una ONG internazionale come COOPI, in cui da alcuni mesi ricopro il ruolo di Foundation Partnership Manager, ha assets formidabili da giocare nel dialogo con le Fondazioni. Ha lunga esperienza e presenza in contesti complicati e instabili (COOPI ad esempio è consecutivamente presente in alcuni paesi come la Repubblica Democratica del Congo o la Repubblica Centrafricana da oltre trent’anni, nonostante colpi di stato, catastrofi naturali, guerre e avvicendamenti politici e sociali), dimostrando nei fatti capacità di flessibilità e resilienza straordinarie. Ha capacità di analisi approfondite, e capacità di risposta integrate, con un modello agile e multisettorialeche consente di realizzare contemporaneamente interventi contro la malnutrizione, a sostegno delle madri, a favore delle minoranze più vulnerabili e nel contempo programmi per sviluppare i mercati e l’economia locale e il reddito delle famiglie coinvolte. L’obiettivo finale è quello di aumentare le capacità di risposta autonoma, e quindi di resilienza, delle comunità partner, nel processo di riduzione della povertà che da cinquant’anni guida l’organizzazione.

Le ONG come COOPI possono avere un impatto, quantitativo e qualitativo, davvero significativo. Sanno avere visione globale, sanno affrontare situazioni complesse offrendo risposte altrettanto sofisticate, sanno valorizzare il dialogo e la partecipazione sia delle comunità che degli attori-investitori coinvolti, siano essi agenzie multilaterali, governi, autorità locali.

Per una Fondazione nazionale, con solide radici territoriali ma consapevole anche della necessità di analizzare i problemi globali nella loro interezza e complessità, avviare un partenariato con ONG come COOPI diventa in quest’ottica una grande opportunità. Avere sul campo un partner di totale fiducia, grande esperienza e visione d’insieme permette difatti alla Fondazione di trovare un giusto equilibrio tra la limitatezza delle risorse e il desiderio di massimizzare l’impatto.

Invece di parcellizzare i grants in micro-interventi funzionali sì ad aiutare il maggior numero di partnersapplicants ma purtroppo destinati comunque a risultare insufficienti rispetto alle molteplici richieste, sempre più Fondazioni stanno riducendo e focalizzando le proprie aree di intervento – aumentando nel contempo il valore dei grants concessi – dandosi nuove modalità di selezione dei partners strategici.

Il percorso di creazione di partenariato certamente non è semplice e può spesso risultare lungo e faticoso. Il compito di un Foundation Partnership Manager (come il sottoscritto) è quindi quello di gettare ponti di potenziale collaborazione, di trovare e sviluppare opportunità win win di partenariato, di lavorare pazientemente per superare i vicendevoli e legittimi punti di partenza e giungere a nuove soluzioni di collaborazione, nella comune consapevolezza che i problemi globali oggi interessano tutti, e che solo un approccio davvero integrato e multistakeholder può migliorare il modo in cui l’intera comunità internazionale tenta di risolvere le sfide globali.

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