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Progettare con le Fondazioni : formazione e informazione in tempi di stress

Stefano Oltolini | 17 ottobre 2013

Progettare con le fondazione_OltoliniMi affaccio a Blog4change in uno di quei momenti di pressante operatività in cui si fatica ad alzare la testa dalle mille incombenze quotidiane e diventa difficile anche solo mettere ordine tra le priorità. Quando tutto è prioritario, allora niente è prioritario, mi verrebbe da dire.

A tale proposito la Harward Business Review ha da poco pubblicato un brillante articolo che sin dal titolo dice tutto: “Please Stop Complaining About How Busy You Are”,  che mi fa sorridere e nel contempo mi conforta sui miei limiti di gestione del tempo.

Trovare il tempo per formarsi, e informarsi, in tempo di stress ed eccesso di informazioni, è una delle sfide che ogni programme manager, e in realtà ogni persona socialmente attiva, deve quotidianamente affrontare.Raggiungere il giusto equilibrio tra l’efficienza organizzativa (essere ogni giorno più veloce, più efficace, più multitasking, con meno risorse) e la nevrosi da overstress sarà il mantra manageriale dei prossimi anni. Per citare l’articolo di HBR, si tratta del grande dilemma “working hard vs working smart”.

Vorrei  ora prendermi un po’ di tempo per parlare di un eccellente evento formativo  a cui ho avuto la fortuna di partecipare a fine agosto a Rotterdam:  la Summer Academy organizzata dalla European Foundation Centre e dall’Erasmus Centre for Strategic Philantrophy:

L’evento formativo è stato organizzato nell’ambito delle iniziative per rafforzare conoscenza e cooperazione tra fondazioni europee e aumentare la loro capacità di lavorare assieme. Era espressamente rivolto a programme officiers di fondazioni appartenenti all’EFC, con qualche esterno (come il sottoscritto) la cui candidatura è stata approvata dagli organizzatori. Ero l’unico italiano tra i corsisti.

Le principali tematiche toccate sono quelle su cui tutte le fondazioni medio-grandi stanno ragionando in questi anni e risultano di grande interesse anche per il nostro Paese e per le fondazioni che vi operano: aumentare e misurare l’impatto dei programmi finanziati e delle proprie organizzazioni, lavorare in partenariato tra fondazioni europee, definire strategie di cambiamento basate sui risultati attesi (theory of change & result based management), favorire la conoscenza e lo scambio di esperienze e best practices.

I risultati dell’evento formativo sono stati molto positivi da diversi punti di vista:

1)FORMAZIONE PROFESSIONALE: è stato utile rafforzare concetti e strumenti su cui in questi mesi ho molto letto e studiato (es. theory of change e managing to outcomes). E’ stato confortante rendersi conto che molte problematiche e sfide sono comuni a fondazioni che operano in diversi contesti e paesi e gli operatori che vi lavorano possono adottare un linguaggio comune. Allo stesso modo è stato stimolante imparare dal confronto continuo tra la teoria degli accademici dell’Erasmus University e l’esperienza di molti casi concreti presentati, tra cui quello di Compagnia di San Paolo sulla creazione di partnerships.

2)NETWORKING: al di là delle teorie, un obiettivo primario era favorire la conoscenza diretta tra le persone che lavorano nelle diverse organizzazioni, attraverso numerosi momenti di lavoro comune e scambio informale, creare la “scintilla” (sparkle) di intesa personale che permette di superare i preconcetti e le diversità. Lavorare assieme tra fondazioni europee è difatti molto di più che limitarsi a co-finanziare progetti comuni. Sulle diverse forme di collaborazione, su come formare partnership e su come valutarne gli impatti si può leggere l’ottima guida – gratuita – messa a disposizione da Grantcraft dal titolo eloquente “Foundations working together”

3) SPUNTI DI RIFLESSIONE E APPROFONDIMENTO: molti argomenti dibattuti a Rotterdam possono essere di stimolo e riflessione anche per le fondazioni italiane, inclusa la Fondazione “aiutare i bambini” in cui lavoro come Responsabile Progetti Estero. Tra i principali:

a.       Spostare l’approccio operativo da “reactive” a “proactive”: non limitarsi a dare una semplice risposta ai bisogni, ma definire in partenza l’impatto atteso e progettare poi di conseguenza

b.      Sviluppare “theories of change” per i programmi e per l’organizzazione partendo dall’impatto atteso (“impact driven”). Sulla creazione di theories of change si veda la guida “Mapping change”

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c.       Misurare l’impatto ad ogni livello (progetto, programma, organizzazione, teoria) e usare le evidenze per riprogettare gli interventi

d.      Definire i processi decisionali rispetto al ruolo della propria Fondazione e dei programmi che si decide di finanziare: in termini di modalità, sfide, analisi necessarie.

In sintesi, c’è molto fermento tra le fondazioni europee. Le buone esperienze nazionali in ambito erogativo si aprono (finalmente) al confronto e alla collaborazione, superando i limiti territoriali e iniziando a ragionare non più e non solo in ottica localista, ma con un respiro europeo.

Come professionista del settore, e come cittadino europeo, non posso che rallegrarmi della mole di input e spunti di riflessione utili per migliorare il mio lavoro e, a cascata, quello delle persone e delle organizzazioni con cui collaboro.

 

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