In occasione del 17 novembre, Giornata Internazionale degli Studenti e ricorrenza della Rivolta Studentesca del Politecnico di Atene, riceviamo da Marco Crescenzi, Presidente della Social Change School, una importante riflessione sul cambiamento del ruolo della Scuola nei prossimi 20 anni, come infrastruttura di sviluppo di leadership giovanile a livello globale.
Let us pick up our books and our pens, they are the most powerful weapons.
Malala Yousafzai
Nel 1939, la resistenza studentesca del 17 Novembre nelle strade di Praga contro l’occupazione nazista ha ispirato la nascita della coalizione studentesca anti-nazista.
Le autorità naziste presero misure drastiche in risposta, chiudendo tutte le istituzioni di istruzione superiore, arrestando più di 1200 studenti, che furono poi mandati ai campi di concentrameto, e uccidendo nove studenti e professori senza processo.
Per questo motivo, nel 1941, il 17 Novembre fu dichiarato “International Students’ Day” dall’International Students’ Council a Londra, che avrebbe poi portato alla fondazione dell’International Union of Students.
Sempre il 17 Novembre, nel 1973 ebbe luogo la Rivolta Studentesca del Politecnico di Atene contro il regime militare fascista di Georgios Papadopoulos, iniziato nel 1967. Gli studenti avevano costituito una stazione radio illegale, incitando la popolazione con le parole “Psomi, Paideia, Eleftheria!” – Pane, Istruzione, Libertà!
Molti ragazzi furono assassinati o imprigionati, ma alla resistenza degli studenti contro i carri armati dei “colonnelli” si unirono centinaia di migliaia di persone, e questo fu un passo importante per il rovesciamento del Regime Militare in Grecia.
Oggi, l’International Students’ Day è visto come un’osservanza dell’attivismo studentesco. Molte università e Scuole nel mondo osservano questa ricorrenza come una celebrazione non politica del multiculturalismo dei loro studenti.
Quanti nostri giovani in occidente sono ancora in grado – non dico di rischiare la vita – ma di lottare per un mondo migliore, per affermare i valori di libertà, educazione, pari opportunità, solidarietà sociale, passione civile? Come possono farlo? E quali sono i nemici principali?
Uno dei più prestigiosi istituti di ricerca europei, il Censis, parla di due grandi fenomeni avversi. L’emergere di una Società del Rancore, il rancore per le promesse mancate ed il disagio. E la perdita di un Immaginario Collettivo centrato su crescita e responsabilità comune: dove al posto di “scagliarsi contro” (con rancore) si “lavori insieme per”, dove al posto dell’esclusione delle minoranze, vi sia la ricerca di una integrazione senza sconti, ma intelligente, efficace e vantaggiosa per tutti.
Aggiungo un terzo, forse ancor più insidioso avversario: la depressione, eplicita o “spleen”, sempre più diffusa in Europa (OCSE) e che trova chiara evidenza nel fenomeno dei Neet (Not in Education, Employment, or Training), oltre due milioni e mezzo solo in Italia. Un’insegnante di liceo dice “faccio una fatica tremenda ad accendere la luce negli occhi”… L’unica luce, spesso, sembra quella riflessa dagli smartphone… Alla presenza civile e fisica si sostituisce un consumo frettoloso, ma appagante e distraente nel breve periodo.
Rancore e Rinuncia valgono per l’Italia, ma anche per il Regno Unito della Brexit, per gli USA di Trump, per molti paesi dell’Est Europa, per la Francia di Le Pen (e di quella dell’ipocrita Macron).
In ASIA e AFRICA è diverso, il mood che sento tra i giovani è molto più vivo e ottimistico.
Rancore, difesa, paura, rinuncia, portano inevitabilmente alla perdita di “cittadinanza attiva”, alla pigrizia nel reagire, ad accettare situazioni facili e ad accodarsi a chi sembra avere le idee più chiare, all’esclusione sociale di soggetti tangibili a cui è più facile dare la colpa del nostro malessere (immigrati).
In altre parole, alla perdita di democrazia reale, di inclusione sociale, di un sano e articolato dibattito civile.
Una vera “implosione della democrazia” soffocata dalla rinuncia.
In questo scenario europeo mai così grave da quando ho memoria – cioè dagli anni 60 – credo che la Social Change School debba fare un cambio di passo, per collaborare più a fondo per lo sviluppo di una “leadership” giovanile globale preparata e diffusa, centrata sulla produzione di innovazione sociale e molto connessa al nonprofit nelle sue molteplici possibilità. Che debba essere più “politica” nel senso alto e greco del termine.
Fino ad ora la Scuola è stata il principale bacino formativo di reclutamento professionale delle ONG, dando prospettive professionali a migliaia di giovani “social change maker”. Un incredibile incubatore di maturazione di identità personali più ricche di senso e di impatto, e di lancio professionale.
Per le ONG, una occasione unica di acquisizione di professionisti “freschi” ricchi di passione, tra cui i migliori giovani europei sotto il profilo combinato di motivazione sociale e competenza tecnica.
Credo che ora la Scuola, oltre a continuare bene quello che già ha fatto i primi 20 anni, nei suoi prossimi 20 debba diventare una grande infrastruttura formativa per lo sviluppo della leadership giovanile e femminile nel mondo.
Abbiamo già collaborazioni con importanti associazioni studentesche come AIESEC e con l’ Erasmus Student Network in EUROPA, avviato sinergie con la Mandela Rhodes Foundation in AFRICA, avviando colloqui con la rete di Malala in ASIA, individuando le “Youth Leader Associations” più attive nel mondo, per supportarle.
Aumentando numeri e internazionalizzazione, stiamo migliorando le nostre tecnologie, nella logica delle “matching platform” per facilitare gli scambi ed il matching più efficace tra i vari stakehoders, senza perdere la qualità ed il calore del rapporto umano che ci caratterizza… Dovremo lavorare su app gestionali in grado di supportare professionisti e leader “sul campo”… Coinvolgere più le ONG in progetti culturali tesi a restituire valori forti, prospettive sociali e riferimenti espliciti, all’immaginario collettivo…
Combattiamo insieme?