Christian Dama | 16 Giugno 2015
Il time –manager ideale stabilisce priorità, opera in multi-tasking, lavora in autonomia, decide in fretta. A mio avviso, il time-manager non-profit ha in più la “consapevolezza” di “cosa” vuol realizzare (visione) e “come” può farlo (missione); perciò potrebbe impiegare il proprio tempo in modo ancora più mirato. Facile vero?
Chi si lamenta: «Non ho tempo! Ho troppe cose da fare!», si sente rispondere spesso: «Il tempo c’è! Gestiscilo meglio!». Come?
In soccorso, vi sono alcuni strumenti utili: la Matrice di Eisenhower, il Gantt, l’agenda, e l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Alcuni ricercatori li giudicano validi solo per:
- le culture occidentali, dove il tempo è un fatto quantitativo;
- le persone con una brain dominance nell’emisfero sinistro;
- le persone con un passato positivo.
Jerome Liss – fondatore della metodologia biosistemica e mio formatore personale – ricordava che la vita è un percorso multi-dimensionale; se siamo insoddisfatti in una dimensione (la coppia), questa frustrazione distoglierà le nostre riserve di attenzione ed energia dal resto (il lavoro). Porges e Cozolino affermano che la ricerca di un equilibrio fra le dimensioni della vita – una funzione della neo-corteccia – è così condizionata dal pensiero sotto-corticale da poter ostacolare la presa di decisione. E Daniel Goleman ricorda che la principale fonte di distrazione durante la giornata può essere sia di tipo sensoriale (i messaggi che vengono dal corpo) sia di tipo emozionale (le preoccupazioni, il chiacchiericcio interno nella nostra testa). Il secondo tipo di distrazione sarebbe quello determinante la nostra bassa performance personale, per quanti strumenti o concetti di time management si utilizzino.
Un esempio dalla mia esperienza di formatore con gli studenti di ASVI Social Change può meglio chiarire il punto.
Docenza sul time management. La studentessa A. lavora con colleghi e capo meravigliosi. La invito per una simulazione sulla capacità di dire NO. Si racconta come “tutto-fare”. Esploro. Col sorriso (!), afferma parlando del suo capo: «R. è uno stronzo, spesso mi chiede le cose prima di andare a casa, dice che sono urgenti e che posso farle perché sono brava e capace. Non riesco a dire NO».
Le chiedo: «Cosa provi e dove senti quella sensazione?».
Lei dice: «rabbia, stomaco bloccato, voce che va via, corpo rigido».
Prima di tutto, ho stimolato A. a sostare nella negatività.
Da quanto A. mi comunicato, da quello che ho potuto osservare nel suo corpo, azzardo l’ipotesi che il “SI passivo” fosse per A. una modalità di risposta abituale, l’apprezzamento di R. «Brava! Sei capace!» suona più come una carezza negativa (E. Berne) che, agganciandosi a qualche vicenda a me ignota della vita di A., avrebbe agito come inibitore della sua assertività. Quando A. poi esprime la sua rabbia verso R., sorride: è calma, riferisce di un clima sereno nell’organizzazione, sebbene descriva straordinari non concordati e lavoro pressante. Strano?
Il temperamento di A. sembra essere parasimpatico, relativo cioè a quella parte del Sistema Nervoso Autonomo che Porges ritiene abbia facilitato nell’evoluzione dell’uomo le relazioni continuative e la collaborazione nonostante i disaccordi.
Qui lo strumento, agenda o matrice di Eisenhower, da solo, avrebbe avuto poca efficacia!
Ho invece chiesto ad A. di sostare nella sua emozione negativa, e coinvolto altri due studenti per accarezzarne lo stomaco durante il calo dentro (pianto e rabbia); solo dopo la fase di scarico del parasimpatico e l’azione della rabbia, tentai la risalita verso i prossimi passi con l’impiego della mappa della critica costruttiva.
Durante quell’aula, introdussi la mappa prima in teoria; poi, la sperimentai con A. durante il suo primo confronto “simulato” con R. dopo la lezione.
Tempo dopo, ritrovata ad un nuovo seminario, A. mi ha detto che adesso si sente più assertiva e considerata.
Attenzione! A. non ha risolto il suo problema, ha solo imparato una nuova modalità di azione che le potrà essere utile per agire un NO costruttivo-assertivo sul lavoro.