Davide Cavazza | 19 Settembre 2013
Cari Lettori di questo bellissimo Blog, voglio raccontarvi questo strano periodo di un professionista del Non Profit.
Parto da un paio di considerazioni, che spero condivisibili. La prima è la più oggettiva e reale. Riuscire a lavorare nel Non Profit in Italia è difficile. Così, quando e se hai la fortuna o la possibilità (a volte il talento) di avere un buon posto di lavoro, devi esserne felice e tenertelo stretto. La seconda considerazione è la più soggettiva e immaginifica. Riguarda il sogno di cambiamento. Quel piccolo grande sogno che hai di potere dare una mano per costruire una società più giusta. Almeno un pezzetto. Da qualche parte e in qualche modo. Quella molla che ti ha fatto decidere, ieri o tanti anni fa, che ti sarebbe piaciuto o ti piacerebbe impegnare la tua intelligenza e il tuo cuore per gli altri. Un modo di interpretare la realtà che ti rende felice e che ti obbliga alla consapevolezza che quello che potresti fare è davvero importante. Che tu sia megalomane o idealista. O tutte e due le cose insieme.
In questo periodo, dicevo, mi stanno capitando cose interessanti. Una riguarda proprio la parola ‘idealista’. Mi spiego. Sapete quando ‘idealista’ viene pronunciato con quel tono di voce un po’ sprezzante, da parte di chi vuole farti capire che il mondo non funziona così? Ecco, vi assicuro che se a pronunciarla con questa sufficienza sono persone insospettabili, vi corre un brivido. Una cosa del tipo ‘Wow, che ci faccio qui?’ In questi casi la mia mente corre al vocabolario. La cui prima definizione di ‘idealista’ è: chi si propone un ideale e cerca di realizzarlo in pratica. Ok, si, ci siamo. State parlando proprio con me.
Ma forse la massa delle persone ha ragione. Via, siamo onesti. Noi idealisti siamo un vero disastro nelle cose pratiche. Poco efficaci. Io per esempio ho fatto volontariato per dieci anni, poi ho lavorato per 7 per Amnesty International e per altri 7 per l’UNICEF, sempre come Direttore Campagne e Rete Volontari. Faccio formazione su Campaigning, People Raising e Comunicazione e ho scritto un Manuale di formazione su come fare le Campagne nel Non Profit, insieme ad altri colleghi e amici. Lo trovate, se siete curiosi, proprio nelle pagine di ASVI. E poi ho scritto un romanzo, il cui titolo è maldestramente nascosto (si fa per dire) nel titolo di questo pezzo. Un romanzo che parla di quattro amici e di una campagna elettorale coraggiosa. E di valori.
Torniamo sulla terra, vi prego! Concretezza, su. Quanto coraggio ci vuole a lasciare un posto di lavoro prestigioso e ben retribuito per una delle più belle e importanti Organizzazioni internazionali, in un periodo di crisi generale di cui non si vede la fine, senza avere una alternativa pronta che ti aspetta? Somiglia di più alla follia, in effetti. E ne sono pure consapevole!
Perso in queste congetture, ho ripensato ai miei 19 anni – e quindi a pochissimo tempo fa: smettete di fare i conti, ve lo dico io, dovete aggiungere 22. Ecco. A 19 anni, la motivazione era tutto. E oggi? Altra sorpresa. Oggi è come ieri. E qui ci vuole un altro Wow, vi assicuro, di sincero stupore.
Ciò in cui credo oggi, più di ieri, è che i Valori sono una parte importante per una Organizzazione. Insieme con la Visione e la Missione. E che se non si hanno ben chiare queste cose, nessuna gestione economicistica potrà salvarci. Penso che questo valga per tutte le Non Profit, grandi o piccole che siano. E lo penso, oggi più di ieri, perché il cuore del problema è che le Organizzazioni stanno lì proprio per occuparsi di valori. E’ la loro stessa natura. Di anima, e non di portafoglio. Anche quello conta, ma viene dopo. E’ il mezzo, non il fine. Sempre. E i bilanci delle Organizzazioni vanno assai peggio se si amministra senza badare ai valori. Abbiamo bisogno di buoni sarti, che cuciano con costanza laddove c’è tessuto, dove c’è stoffa. I ragionieri impauriti, invece, rischiano di fare grandi danni.
A proposito di paura, la gabbia funziona in modo molto efficace, invece. Mi spiego. Dopo anni di impegno e di responsabilità, è umano non avere più voglia di rimettersi in gioco. E’ comprensibile avere paura di ciò che troviamo fuori dalla nostra casetta con tante finestrelle colorate. Attenti al lupo! – dice la canzone. E in questi mesi, alcune volte mi è capitato di consigliare amici e colleghi in senso conservativo. Nessun colpo di testa, là fuori è dura, resisti. Poi, dopo un po’ di montagne russe, ho fatto l’opposto. Perché credo che nessuna gabbia possa contenere un cuore in fiamme. E forse le vere montagne stanno solo dentro di noi.
A questo punto, ogni storia che si rispetti prevede un lieto fine. E invece no. Ho volutamente e urgentemente voluto scrivervi ora. Adesso che il finale non lo conosco. E chissà se siete più curiosi voi di quello che succederà, oppure lo sono io…
Aspetto i vostri commenti … fuori dalla gabbia !