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Disuguaglianza ed equità. Giustizia militante vuol dire “facciamo a metà”.

Sandro Calvani | 15 Aprile 2014

La disuguaglianza crescente nella distribuzione della ricchezza e del reddito pro-capite non piace affatto alla gente e ai leaders dei popoli. Non se ne trova uno che la difenda e dica che va bene così, tutti vorrebbero poterla controllare e ridurre. La disuguaglianza, che spesso nasce come disuguaglianza di opportunità,  è allo stesso tempo il catalizzatore di rivoluzioni a volte violente, di significative innovazioni sociali, perfino di instabilità politica in paesi con democrazie mature. Nella maggior parte dei paesi negli ultimi decenni i la disuguaglianza è andata crescendo nonostante il fatto che a parole tutti la vorrebbero ridurre. Molti ricercatori socio-economici  osservano che la disuguaglianza è spesso un sintomo dello stato di salute della giustizia e della pace interna di una nazione.

Secondo uno studio di Oxfam -autorevole organizzazione non governativa britannica – 85 persone nel mondo dispongono di una ricchezza equivalente a quella posseduta da 3 miliardi e mezzo di persone. Per oltre un secolo l’indice più conosciuto di inequità sociale è stato l’indice GINI (in inglese Generalized INequity Index) inventato dallo statistico e sociologo italiano Corrado Gini nel 1912. Gini era allora un fascista convinto e militante, che scrisse libri sui fondamenti scientifici del fascismo. Dopo la Seconda Guerra Mondiale creò invece il Movimento Unionista Italiano che proponeva che gli Stati Uniti annettessero tutte le nazioni democratiche al mondo per creare così un vero governo democratico mondiale con sede a Washington.  Il suo genio dunque era a volte divergente e bizzarro. La formula matematica dell’indice GINI di disuguaglianza non dà molto peso ad importanti variabili della popolazione, come le percentuali di minori ed anziani, ma per circa un secolo nessun altro esperto ha proposto con successo un altro indice alternativo per misurare la disuguaglianza.

All’inizio di Aprile 2014, dunque circa un secolo dopo la creazione dell’indice GINI, Alex Cobham ricercatore del Centre for Global Development  (Washington e Londra) ha proposto un nuovo indice di disuguaglianza chiamato Palma, a suo avviso più attento alle vere dinamiche della disuguaglianza e lo ha definito come “il rapporto tra il reddito posseduto dal 10% più ricco della popolazione diviso per il reddito posseduto dal 40% più povero”.  Il nuovo indice si basa sul lavoro dell’economista cileno Gabriel Palma (che insegna a Cambridge, nel Regno Unito) che aveva suggerito che il reddito della classe media rappresenta quasi sempre circa la metà del reddito nazionale lordo, mentre l’altra metà è divisa tra il 10% più ricco e il 40% più povero, mentre la quota di ricchezza di questi due gruppi varia considerevolmente da un paese all’altro.

È chiaro che stabilire un indice di diseguaglianza come una relazione diretta tra il 10% più ricco e il 40% più povero -mettendo da parte il 50% rappresentato dalla classe media- é un metodo arbitrario che potrebbere suggerire anche delle responsabilità specifiche del 10% più ricco. Sarebbe una linea di pensiero simile a quella proposta da “Giving Pledge” impegno a donare, creato da Warren Buffett e Bill Gates, i due miliardari (in dollari)  più ricchi degli Stati Uniti che hanno incoraggiato altri miliardari a donare a progetti a favore dei più poveri almeno la metà delle loro ricchezze. Finora altri 122 miliardari del mondo hanno firmato l’impegno  a fare lo stesso.

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