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15 modi per attrarre l’attenzione dei media

Filippo Ungaro | 12 Maggio 2015

Da quando ho cominciato a lavorare per il non profit e per Save the Children, ben 14 anni fa (ahimè), ho sempre e solo ascoltato la stessa solfa: “i media tendono a semplificare troppo le cose e fanno sensazionalismo”. Questa la posizione delle associazioni e Ong. Ma dall’altro lato, da parte dei media, il commento generale è: “le Ong non sanno comunicare adeguatamente, sono troppo “corporate” (nel senso di non vere, autentiche, trasparenti nel modo di dire le cose) e presentano un’immagine troppo negativa delle realtà in cui operano”. Dove sta la verità?

Hanno ragione le Ong o i media?
Naturalmente tutti e due ed entrambe le cose sono ovviamente vere. Inutile arroccarsi all’infinito sulla propria posizione. Meglio affrontare le cose con sano realismo e pragmatismo. Così come hanno fatto in Inghilterra che, si sa, ha un mercato delle charity molto più maturo ed evoluto di quanto non lo sia quello italiano. E allora con vero stile anglosassone, il Guardian online, lo scorso fine febbraio ha organizzato un panel per discutere di questi aspetti e capire come Ong da una parte e media dall’altra possono trovare il modo di fare meglio entrambi il proprio lavoro. Perché se è vero che il rischio di vedere semplificati e affrontati con superficialità i temi di cui si occupano le charity esiste, è altrettanto vero che le charity hanno il bisogno e, a mio avviso, il dovere di utilizzare i media mainstream per comunicare, sensibilizzare, raccogliere fondi. Il panel era composto da docenti universitari di comunicazione, giornalisti e reporter, e membri di Ong varie (per maggiori informazioni sul panel:http://www.theguardian.com/global-development-professionals-network/2015/feb/20/live-qa-ngos-media-development-journalism-communications ).
Da questa discussione è venuto fuori qualcosa di veramente interessante e che va preso seriamente in considerazione. Si tratta di un elenco di 15 modi secondo cui le Ong possono attrarre l’attenzione dei media. Cose semplici, a volte ovvie, ma che vale la pena ricordare: essere chiari nel messaggio, chiedere allo staff di usare i social media, smetterla di pensare solo al proprio brand, comprendere cosa è una notizia, essere diretti, raccontare storie autentiche, e così via (la lista completa può essere consultata qui http://www.theguardian.com/global-development-professionals-network/2015/mar/03/ngos-positive-media-attention-communications-pr ).
Ora, il mio punto è molto semplice. Le cose che vengono elencate sono appunto un elenco, 15 cose. E sono concetti che possono essere condivisi o meno (io, personalmente, in linea di massima le condivido). Qualcuno potrebbe dire che si tratta ancora una volta di un modo semplicistico di affrontare un argomento alquanto complesso come la comunicazione. Ma mentre noi comunicatori del non profit qui in Italia (sicuramente la maggior parte di noi) ancora non riusciamo a capire perché il nostro comunicato stampa o comunicazione non faccia breccia nei media mainstream e si consola con la scusa che tanto i media non capiscono, in Inghilterra i problemi vengono affrontati in maniera pragmatica (che poi sarebbe mettersi attorno a un tavolo e provare a trovare delle soluzioni senza ideologie). E si è messo poi a disposizione un elenco di cose su cui riflettere. Più che un modo semplicistico di fare comunicazione a me sembra nient’altro che un modo professionale.

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