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Arti, Cultura e Filantropia per il Cambiamento Sociale

L’arte, la cultura e la filantropia possono e devono essere un motore di cambiamento sociale. Social Change School insieme a Cultural Philanthropy, Presieduta da Giampiero Giacomel, ha iniziato una nuova collaborazione, che vuole raggiungere importanti obiettivi:
– educazione al bello artistico nella cittadinanza, la quale diventa parte attiva nel rispetto e nella promozione delle arti e della cultura
– la realizzazione di un nuovo concetto di fundraising impostato non solo sulla raccolta fondi, ma anche sulla Filantropia Culturale, che si basa su relazioni umane capaci di generare valore economico tramite donazioni
– conseguente attivazione di una “High Impact Philanthropy” per colmare delle lacune lasciate dalla società e dagli organi competenti, ma anche a partire dall’insoddisfazione per i risultati a volte discutibili conseguiti dalle Organizzazioni Nonprofit.

Marco Crescenzi

 

Intervista a Giampiero Giacomel

Giacomel è Presidente di Cultural Philanthropy Ltd con sede in Irlanda, Direttore dello Scottish Youth Theater e Direttore Master Internazionale in Fundraising, Cultural Philanthropy & Advancement. Proviene dall’ambito finanziario e si è formato molti anni fa nel Master in Fundraising di SCS – Social Change School. Oggi vive e lavora con base a Glasgow ed è uno dei principali esperti internazionali sui temi della Filantropia Culturale.

SCS.: Quando si pensa al ‘cambiamento sociale’ di solito vengono in mente leve come il volontariato sociale, l’attivismo politico, l’impegno ambientale. Non le sembra che la cultura sia un po’ trascurata in quanto leva di cambiamento?

G.G. L’arte e la cultura svolgono da sempre il ruolo di critica sociale e veicolo per la manifestazione piena della libertà di espressione. 

Nella mia esperienza in corso come Direttore Fundraising allo Scottish Youth Theatre, l’arte e il teatro sono un mezzo di forte inclusione sociale, di sviluppo del talento e di promozione della comunità locale.  La nostra prossima produzione, ad esempio,  sarà focalizzata sul cambiamento climatico e quella che si è appena chiusa era una critica al cd. Surveillance Capitalism.

Nella mia precedente esperienza come Direttore Fundraising delle donazioni individuali a Scottish Opera, il tema sociale riguardava molto di più l’accessibilità dell’offerta artistica alle fasce di popolazione meno abbienti o meno istruite.

E’ strano pensare come noi oggi nel 2019 concepiamo la cultura e le arti come qualcosa di disconnesso dalla realtà, magari un diversivo da fine settimana. Eppure le arti e la cultura esistono da sempre come strumento di critica e denuncia sociale. Picasso, Foscolo, Hemingway, Verdi hanno creato arte come critica sociale alla politica, alla religione e al sistema in generale. Ma penso che questo ha radici lontane quando mi vengono alla mente la satira di Marziale e l’influsso che ebbe lo scultore Phidias nel determinare il senso estetico dell’intero occidente.

Anche nella nostra esperienza quotidiana possiamo vedere che nelle forme d’arte più moderne, quali il cinema o la musica leggera, il messaggio sociale viene veicolato dal mezzo artistico. Numerose ricerche accademiche hanno dimostrato come le arti siano essenziali allo sviluppo di una società plurale e tollerante, dimostrando che dove la popolazione non è esposta alla cultura, anche democrazia e tolleranza sono a rischio. Il mondo accademico è anche concorde nel ritenere che l’efficacia dei sistemi scolastici che non includono esposizione alle arti sia notevolmente più bassa. Questo viene mai considerato nei piani di intervento per i paesi in via di sviluppo? Le arti sono necessarie al cambiamento sociale.

SCS.: Fundraising e filantropia culturale sono molto affermati in UK e negli USA. Cosa si può dire dell’Europa e dell’Italia?

G.G. Uno dei problemi culturali che in Italia dobbiamo affrontare è l’equiparazione tra fundraising e marketing, perché questo ha determinato che il concetto di fundraising sia governato da logiche di vendita, invece che da ottiche di relazione.

La filantropia culturale è la specifica declinazione di un fundraising relazionale al mondo culturale. Possiamo tradurre filantropia culturale come la creazione di legami umani capaci di generare valore economico tramite donazioni. Il focus è sulla relazione, non sul denaro. Il tutto in un contesto di arti e cultura, che ritiene il finanziamento pubblico più dannoso che utile.
Spesso si pensa che questa logica di gestione finanziaria privatistica sia originata nel mondo anglosassone, ma così non è. Alessandro Baricco è l’iniziatore di questa linea di pensiero che è molto diffusa anche in Germania. Io credo che la filantropia culturale debba diventare il modello gestionale delle arti e della cultura del prossimo futuro e credo quindi che lo stato debba progressivamente iniziare a spendere i propri soldi in altri settori come l’istruzione e lasciare le arti libere di determinarsi.

In Italia fino alla riforma Franceschini era vietato per enti culturali pubblici ricevere anche un solo euro da fondi privati, per me un grave pregiudizio ideologico. Adesso che questo divieto e’ venuto a cadere i soli dati dell’Art Bonus mostrano che 250 milioni di euro sono stati donati tramite questo strumento e altri 250 milioni provengono dalle sole fondazioni bancarie. Questi sono dati certi e già così, le donazioni per arti e cultura hanno raggiunto in pochi anni lo stesso importo raccolto dall’intera cooperazione internazionale. Esiste poi anche un universo di donazioni per arti e cultura per fondazioni e associazioni culturali che non sono misurabili perché tali donatori non hanno richiesto o potuto accedere a benefici fiscali. Il problema Italiano è che si pensa all’Italia come se fosse un caso a sé. Ma questo è un pregiudizio bello e buono. Il mondo culturale italiano crede che le persone fisiche non donerebbero mai a arti e cultura, ma questo oltre ad essere falso come dimostrano i dati sopra, è pure lo stesso identico pregiudizio che americani ed Europei hanno. Anche da loro infatti si crede che siano le fondazioni o le aziende a donare di più, ma ciò è falso. Insomma in Italia pensiamo di avere un problema che non abbiamo e pensiamo pure di essere gli unici ad averlo, ma entrambe le affermazioni sono false.

SCS.: Come nasce il suo amore ed impegno per lo sviluppo della cultura, ci vuole citare un bel progetto o organizzazione da lei seguito?

G.G. Attualmente sono fondatore di Cultural Philanthropy, che ha sede in UK. Si tratta dell’unica società di consulenza in Europa specializzata nella filantropia per le arti e la cultura. Il nostro obiettivo è cambiare i paradigmi che governano l’attuale settore culturale in tutta Europa, dove lo stato la fa da padrone. Noi crediamo che i fondi pubblici siano stati un danno enorme per la cultura e proponiamo un modello alternativo vincente per permettere a tutti gli enti culturali di stare in piedi solo con fondi privati e far fiorire veramente la cultura, in modo indipendente. Sono cosciente che la maggioranza di coloro che leggono, possano vedere quasi con perplessità questa mia affermazione, ma sono convinto dati alla mano di essere nel giusto. Le ragioni che nel dopoguerra hanno portato lo stato a offrire supporto economico alla cultura erano quelle di garantire accessibilità alle fasce di popolazione più povere, questo non si è realizzato in nessun modo e, anzi, ha causato il collasso della sostenibilità del settore.

Questa mia linea di pensiero è nata non solo dai dati, ma anche dalle mie esperienze di lavoro internazionali e in Italia.

Ho lavorato sia in Italia che in UK nella cooperazione e nel sociale, settori che mi hanno fatto riflettere. Ho, quindi, lavorato come responsabile filantropia per Università, poi come direttore delle donazioni individuali presso Scottish Opera. In queste realtà ho scoperto il perché marketing e fundraising sono due cose ben distinte e cosa significa fundraising relazionale e filantropia.

A un certo punto della mia carriera, la società di investimento Bailie Gifford mi ha individuato come la persona che poteva risollevare le sorti dello Scottish Youth Theatre che era prossimo alla chiusura per ragioni economiche. Dopo solo un anno, il teatro che ha visto iniziare personaggi del calibro di Gerard Butler e Karen Gillan posso dire che non è più in emergenza anche se c’è ancora strada da fare.

In Italia, sto promuovendo lo sviluppo della filantropia culturale come progetto di sistema in collaborazione con la Social Change School, con il Master FRAME in Fundraising e Cultural Philanthropy, in cui mi sono a mia volta formato molti anni fa.

In Italia ho collaborazioni che possiamo definire sperimentali, con la Fondazione Circolo dei Lettori, con l’Orchestra da Camera Polledro, il  Teatro Aperitivo e altre realtà del settore culturale. Di particolare rilievo è la consulenza che sto portando avanti con la Fondazione Circolo dei Lettori di Torino, diretta da Maurizia Rebola (ndr. anche Maurizia ha frequentato, come Giampiero, il Master FRAME)La Fondazione è leader Europeo nella promozione del libro e della lettura. Insieme abbiamo tracciato un percorso di coinvolgimento del loro pubblico che ha iniziato a portare risultati. Donazioni individuali, ma anche lasciti testamentari sono stati sollecitati in un clima di collaborazione, non di ‘marketing’. Entro un anno attiveremo un ufficio di filantropia interno alla fondazione per dare continuità alle attività. Sono convinto che, una volta a regime, la Fondazione sarà in grado di generare somme di denaro tali da permetterne l’indipendenza economica e decisionale in tutti i campi. È quello che sogno per tutti gli enti culturali!

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