Sandro Calvani| 12 luglio 2016
Nel 2010, Julia Roberts e Elizabeth Gilbert sono state acclamatissime protagoniste del film di Hollywood Eat, Pray and Love cioè mangiare, pregare ed amare. Nel loro divertente giro del mondo, i protagonisti scoprono che quelle attività essenziali della vita umana in fondo non cambiano molto nelle diverse culture del mondo e sono condizioni necessarie per la felicità.
Una sorprendente similitudine si trova nell’etimologia delle parole principali e più usate nelle lingue del mondo, che sono alla base della vita quotidiana, perfino nel cuore profondo dello stesso mangiare, pregare ed amare. Il mangiare deve essere prodotto e distribuito, si può pregare altri di condividerlo, e spesso chi si ama, ama mangiare insieme.
Infatti, prima ancora che – milioni di anni fa – il genere Homo sapiens imparasse a comunicare a parole in modo comprensibile ed efficace, c’è stata la necessità e dunque la forte volontà di cooperazione per facilitare o addirittura rendere possibile la vita primitiva. Un elemento primordiale è stato lo scambio di beni e servizi, per esempio cibo in cambio di abiti o di lavoro. Per ottenerlo esso doveva essere richiesto in modo convincente e a volte anche senza scambio alla pari, semplicemente come dono o debito. Da quella necessità vengono parole italiane come merce, mercato e commercio, commerce e market in inglese, marché in francese, che sono originate dal latino mercede, che significa premio, ricompensa, grazia o anche merito, arbitrio e discrezione, come si dice ancora oggi essere alla mercé.
È chiarissima la relazione di scambio generoso nell’inglese mercy, che significa misericordia. In pratica lo scambio di merci o di beni, in inglese chiamati sempre good, cioè bene o cosa buona, generava una relazione di grazia, dalla quale deriva la parola grazie, che in francese fa ancora riferimento diretto allo scambio di un bene, con la parola mercì. In portoghese, per ringraziare si fa riferimento alla relazione di debito e condivisione con la parola obrigado, che ricorda appunto che lo scambio ha creato una situazione in cui il beneficiario si sente in obbligo di ricordare o ricambiare. Altri modi di dire grazie, come l’inglese thank you, il tedesco danke, lo svedese e danese tak e l’olandese bedankts, sono tutti originati dall’inglese think che vuol dire pensare. Dunque il grazie in inglese ha origine da “ti penserò, per quello che hai fatto per me”.
Dato che tutte le culture europee sono state fortemente influenzate dall’evangelizzazione cristiana, si potrebbe pensare che mercy (misericordia), merci, commerci e mercì (grazie) siano parole così simili perché la cooperazione misericordiosa e di comunione cristiana rappresentava il tessuto connettivo delle prime comunità. Ma non è così, perché troviamo etimologie molto simili anche in antiche lingue orientali, come il cinese, il giapponese, il coreano, il vietnamita ed il thailandese. E ci sono prove degli stessi fondamenti di relazioni umane collaborative anche nelle lingue pre-incaiche in America Latina e in alcune antiche lingue africane.
L’origine vera delle parole ancora oggi più usate è dunque più atavica, molto più antica di Gesù Cristo: fu il fatto stesso di essere divenuto homo sapiens sapiens, intelligente e saggio, a facilitare lo scambio e la collaborazione tra persone e dunque la similarità tra tutte le parole che ordinano lo stare insieme e le relazioni di pace e di reciproco vantaggio delle comunità e dei popoli. Se give, think, thank , cioè dare o donare, pensare agli altri e ringraziare sono tutte coniugazioni e conseguenze di mercy, cioè misericordia nel condividere, possiamo capire perché misericordia non è solo il nome del Dio cristiano, ma anche di quello islamico, dove l’aggettivo misericordioso è inseparabile dal suo nome.
L’intelligenza e le prime parole dell’homo sapiens sono nate dalla condivisione di beni e di sforzi, che è l’impronta stessa dell’umano vivere insieme sulla Terra.