Sandro Calvani | 04 Marzo 2014
Le trovate, le creazioni e le proposte dell’innovatore e visionario americano Buckminster Fuller (1895-1983) mi sono sempre piaciute molto. Non ricordo come e perchè ho cominciato a leggerle e studiarle cinquant’anni fa. Forse perchè al liceo mi aveva colpito la sua osservazione sorprendentemente sintetica sui problemi della biologia e dell’ecologia che allora erano scienze davvero nuove: “Il vero problema della navicella spaziale chiamata pianeta Terra è che non c’è un manuale di istruzioni per l’uso”. In linea con la sua profonda convinzione che ogni problema dell’umanità andrebbe osservato e risolto dalla scienza, non dalla politica o dall’economia, ripeteva che le crisi chiamate “crisi energetiche” oppure “crisi della finanza” – facendo così riferimento all’insufficiente disponibilità di risorse energetiche o di denaro – sono sempre in realtà “crisi di ignoranza”, cioè insufficiente disponibilità di conoscenze scientifiche o di capacità di usarle quando disponibili. Più o meno nello stesso periodo Albert Einstein diceva che più che di “sapere” l’umanità deve trovare un nuovo modo di pensare se stessa per riuscire a sopravvivere.
Fuller preferiva la parola “innovazione” invece di “invenzione”. Come studioso di diverse scienze Fuller, aveva una capacità eccezionale di innovazione in tutto quel che faceva. Da studente e giovanissimo ricercatore era così diverso che fu espulso ben due volte dall’Università di Harvard. Tra le “innovazioni” che lo hanno reso famoso in architettura, la più famosa è la sfera geodetica, in pratica un modo per rendere lineari le curve, metodo che oggi viene applicato in grandi costruzioni come aeroporti, stadi, palasport, saloni per convenzioni. Si potrebbe dire che fu l’innovazione che riuscì a far quadrare il cerchio.
Fuller innovò perfino il linguaggio. Inventò decine di parole nuove, e modi di esprimersi, alcuni dei quali oggi sono di uso comune, come ad esempio oltre alla “navicella Terra”, le soluzioni “sinergetiche” o l’efemeralizzazione, in pratica “ridurre gli sprechi e fare di più con meno”. Su altri neologismi sui quali aveva ragione, Fuller non riuscì invece a cambiare le vecchie abitudini, cioè non riuscì a far sì che la gente pensasse in modo nuovo: tra questi fece fiasco la sua logica nell’abolire i termini errati di “sù” e “giù”, “sopra” e “sotto”, “salire” e “scendere” -creati quando si credeva che la Terra fosse piatta- e sostituirli con quelli corretti di “dentro” e “fuori” rispetto ad un pianeta che è una sfera. Forse oggi riuscire a capire cosa significa salire e scendere, fare le scale verso dentro o verso fuori, aiuterebbe perfino a calmare certi carrierismi che servono solo gli ego esagerati. Fuller riteneva di appartere a Universo, che scriveva o diceva sempre con la U maiuscola e senza alcun articolo -ne’ il nè un-, visto che è l’unico che c’è.
Una frase famosa di Fuller -utile per i lettori del nostro blog- suggerisce che “L’umanità è nel suo esame finale per sapere se sopravviveremo o no come specie”. La vera sfida dei leaders di innovazione sociale dovrebbe essere dunque quella di ispirare una massa critica di leaders di pensiero e di imprenditori capaci di abbastanza leadership creativa da mettere l’umanità in grado di superare il suo esame finale.
Interpretando il pensiero di Fuller nei suoi tanti scritti e discorsi, credo potremmo cominciare ogni innovazione sociale sostenibile con l’accettare o imparare un altro assioma linguistico fondamentale: sul pianeta Terra in realtà non esiste il “via”: per l’Universo e per la Natura che sono entità circolari e uniche, non si può buttar “via”, mettere “via”, mandare “via”, cacciare “via” qualcuno o qualcosa perchè tali destinazioni non esistono. L’Universo fa di tutto perchè riusciamo a superare il nostro esame finale. Ma per l’Universo non siamo l’unico esperimento. Se l’umanità non supererà l’esame finale non potrà andar via, potrà solo sparire.