Partire dal solo CV e dall’esperienza passata o investire sul potenziale della persona? Considerare più le Hard Skills o le Soft Skills, le Competenze o la Motivazione? In che modo l’innovazione tecnologica, i big data e gli algoritmi cambieranno (molto) il lavoro degli HRM? Si considera abbastanza la ‘Cultura Organizzativa’ in cui persone, competenze, management e strategie vanno ad interagire? Ed infine, come aumentare il livello di soddisfazione e perché no, la felicità di chi lavora nelle nostre organizzazioni?
Sono alcuni interrogativi emersi con risposte in alcuni casi sanamente opposte nel confronto sulle Risorse Umane nelle ONG che ha visto partecipare molti degli ‘HRM’ del settore nel Convegno Working4HRM -svoltosi a Roma il 25 Novembre ed organizzato dalla Social Change School.
Provo a riassumerne giusto qualcuna tra le diverse emerse, offrendo alcune sintesi senza semplificare troppo.
CV ed esperienza passata nel ruolo vs Potenziale, futuro, plasmabilità. Per alcuni è forte l’esigenza di avere profili ben codificati come ad es. ‘Amministratori di Progetto’ – “che diano buoni margini di sicurezza per lavorare sul terreno” (Mauro Rivolta, Coopi), mentre altri se la sentono di investire su profili meno codificati,o junior, con un set di competenze in divenire: “Smettere di guardare a ciò che la persona ha fatto e guardare al potenziale, perché gli scenari cambiano.” (Zeno Filippi, Amnesty International Italia).
I rischi sono sul primo lato quello di lavorare con persone magari brave tecnicamente ma poco motivate, ‘mercenari’ o ‘vecchio stampo’ e non più adatte a scenari e stakeholders mutanti; nel secondo quello di un investimento ‘a rischio’. Una soluzione intermedia secondo Mauro Rivolta (Coopi) può essere quella di stage interni ben fatti con persone che vengano da percorsi qualificati – ‘competenze base’, e programmi di e-learning per gli espatriati. Aggiungerei anche la considerazione di set di competenze ‘trasferibili’ da un settore ad un altro (es. forprofit-nonprofit, o nonprofit-nonprofit), il coaching a supporto dell’entrata in ruolo dei professionisti più Junior, metodiche di recruitment più raffinate basate su tipologie di interviste ‘out of the box’ per conoscere a fondo le capacità dei candidati e diminuire i margini di errore.
Hard Skills vs Soft Skills: avevo affrontato già nel 1998 questa tematica nel libro ‘Il Manager del Nonprofit’, e mi fa piacere registrare come oggi prevalga l’orientamento ‘soft’ nella scelta dei profili junior ed abbia sempre più importanza anche per i profili senior. In un profilo tecnico come quello di Project Manager la mancanza di sensibilità, ascolto, condivisione, può essere deleteria per la qualità dei progetti, ed a volte fa meglio un progettista che viene da antropologia e lavora ‘bottom up’ di uno che viene da ingegneria e fa il ‘top down’. Per Gianpaolo Montini (DG Associazione Peter Pan), “servono persone in grado di affrontare i cambiamenti e l’imprevedibile, di unire, di relazionarsi, ottimiste rispetto al futuro anche nei momenti più difficili”. Concordo anche con Simona Rigoni (Oxfam) quando dice che “le competenze tecniche si stanno elevando moltissimo e non è facile reclutare e trattenere professionisti di alto livello”. Per quanto ci riguarda, nella fase di ammissione ai Master dei profili under 30 in Europa le dimensione ‘soft’ e motivazionali sono per noi quelle principali, oltre ci deve essere un attento bilanciamento.
Motivazione vs Competenze: Secondo Maria di Ricatti (LAV, già MSF) “una delle principali sfide del recruitment nel nonprofit è quella di equilibrare competenze e motivazione”, le prime senza la seconda sono sterili. Nel medio e lungo periodo è la motivazione la dimensione vincente, solo se c’è le competenze si migliorano o trasformano.
Nell’intervento conclusivo mi sono poi permesso di introdurre altre tre ‘dicotomie’:
Competenze vs ‘Cultura Organizzativa’: possiamo inserire una persona competente ma che non si rispecchia nella cultura interna all’organizzazione? Ad es. un profilo ‘amministrativo’ in una cultura fortemente tesa al risultato, o un manager ‘freddo’ in una cultura partecipativa e sensibile? E’ fondamentale che ogni organizzazione espliciti e condivida i suoi principi enunciandoli non come valori astratti, ma come modelli comportamentali, in un insieme di concreti comportamenti desiderabili o indesiderabili. Peter Druker, grande teorico del management nonprofit, affermava che ‘Culture eats strategies for breakfast’, io alla colazione aggiungerei anche le Competenze ed il Management.
‘Manualità vs Innovazione Tecnologica”: avremo sempre più possibilità di una scrematura dei candidati nel processo di recruitment su base algoritmica (con Federico Atzori abbiamo mostrato alcune piattaforme, tra cui JobandTalent e Textkernel), per arrivare ad una ricerca sui social fino al punto da rendere il vecchio CV un ricordo. Anche nella decisione saremo aiutati da una parziale automazione, qui suggerisco il bell’articolo ‘ In Hiring Algorithms beat instinct’ su HBR-Harvard Business Review (una rivista indispensabile). Avevo già affrontato il tema nell’articolo ‘Un algoritmo ci troverà’ sul mio Blog presso IlFattoQuotidiano on line’
Stesso trend sulla valutazione, in cui anche quella oggi più avanzata, la 360 Degree Feedback potrà girare su app specializzate, già in uso in altri settori e che utilizzano i ‘big data’. Cosi come per determinare il giusto salario, non si andrà più ai sindacati (quali, dove?) ma su ‘’salary’ di linkedin, to ‘discovering your earning potential’.
Infine, ultima dicotomia proposta, Motivazione vs Soddisfazione. Molti presidenti e dirigenti nelle nostre organizzazioni pensano che ci sia un problema di “motivazione”. In realtà il problema è più terra terra di soddisfazione, e dipende da mancanza di ascolto, da aspettative eccessive frustrate, dall’aver colto forti incoerenze nell’organizzazione, dal lavorare scomodi, dall’essere pagati in ritardo, dai troppi obiettivi. Management migliorabile, diciamo così…
Credo che un sogno comune possa essere ‘professionisti felici in organizzazioni efficaci’, (avrei scritto ‘di impatto’ ma perdevo la rima) in cui il ‘benessere’ interno abbia pari dignità rispetto ai ‘risultati /stakeholders esterni.
Perché non lavorarci insieme? Noi ci siamo.
Vedi anche Editoriale 1- Quanto vale un bambino?, gli interventi dei colleghi HRM su Blog4Change, ed i miei post inerenti al tema su Il FattoQuotidiano .